Brian Donnelly, in arte KAWS

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Brian Donnelly, in arte KAWS

La retrospettiva di un graffitista pentito

Al Brooklyn Museum la storia di KAWS, passato dai muri delle periferie alle supergallerie

Brian Donnelly alias KAWS (classe 1974, residente a Brooklyn) è una delle personalità più controverse nel panorama dell’arte globale. I critici «highbrow» e gli intellettuali più radicali sostengono sia un impostore, la sua arte inquinata e compromessa da finalità esclusivamente commerciali. C’è invece chi lo saluta come l’Andy Warhol del XXI secolo, un artista che ha saputo amalgamare cultura alta e popolare, arte e retail, sull’onda di illustri predecessori quali Claes Oldenburg e Keith Haring.

Indipendentemente dalla verità o meno di questi antitetici punti di vista, concreto e tangibile è il successo internazionale di KAWS, l’ex graffitista incoronato star: nel 2019, poco dopo aver lasciato la storica galleria Perrotin per entrare sotto l’ala protettrice di Skarstedt Gallery, un suo dipinto ispirato ai Beatles e ai Simpsons ha battuto il record di 14,7 milioni di dollari in un’asta di Sotheby’s a Hong Kong.

A distanza di trent’anni dal suo primo murale, realizzato da un KAWS adolescente sul tetto di un edificio di Jersey City, a due passi dalla scuola che frequentava all’epoca, fino al 5 settembre il Brooklyn Museum di New York ospita la sua prima retrospettiva in un’istituzione di New York, supportata dalla casa di moda Dior e a cura di Eugenie Tsai.

In mostra dipinti, sculture, oggetti d’arredamento e design, il tutto fruibile non solo fisicamente ma anche digitalmente, attraverso l’app di realtà aumentata Acute Art, con cui l’artista collabora ormai da qualche anno. Ad aprire l’antologica «KAWS: What Party» è una sezione di primi lavori degli anni Novanta: taccuini, disegni di graffiti e i celebri interventi sui cartelloni pubblicitari nelle fermate dell’autobus e nelle cabine telefoniche di New York City, con cui Donnelly cominciò a farsi conoscere dal mondo dell’arte.

A seguire le opere e i dipinti che presentano personaggi da cartoni americani (i Puffi e SpongeBob, fra i vari), riappropriati e manipolati dall’artista sulle sue tele coloratissime, e un gruppo di nuove produzioni, tra cui un’imponente scultura che riflette su temi meno giocosi ma molto attuali, quali la paura, l’isolamento, il lutto. Il focus della sezione conclusiva è quella che per molti è l’immagine più celebre di KAWS: il suo iconico COMPANION, un enorme Mickey Mouse gonfiabile con due «X» al posto degli occhi.

Marchio di fabbrica dell’artista, la figura è stata riprodotta in innumerevoli forme e versioni, alcune delle quali presenti in mostra insieme a video che documentano il suo recente progetto HOLIDAY: una serie di COMPANIONS monumentali installati nel tessuto urbano di Seul, Hong Kong, Taipei e ai piedi del Monte Fuji in Giappone. Non manca neppure un assaggio delle collaborazioni dell’artista con diversi brand di design, come Nike e Uniqlo: oggetti che, in qualità di prodotti vendibili e acquistabili, rammentano ai visitatori il delicato e inevitabile intreccio tra arte contemporanea e commercio.

In concomitanza con la retrospettiva, una nuova scultura pubblica dell’artista verrà installata nella piazza del Rockefeller Center quest’estate.

Brian Donnelly, in arte KAWS

«Companion (Resting Place)» (2013) di KAWS. © KAWS. Foto Jonty Wilde

«Take» (2019), di KAWS. © KAWS

Federico Florian, 11 marzo 2021 | © Riproduzione riservata

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La retrospettiva di un graffitista pentito | Federico Florian

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