«Fabbricante di strumenti musicali» (1610 ca), di Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio (particolare), Londra, Apsley House, Wellington Museum. © Historic England Archive

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«Fabbricante di strumenti musicali» (1610 ca), di Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio (particolare), Londra, Apsley House, Wellington Museum. © Historic England Archive

La prima mostra in assoluto di Cecco del Caravaggio

Con 19 dei suoi 25 dipinti noti, l’Accademia Carrara presenta la prima mostra finora dedicata al pittore, garzone, allievo, modello e «his boy» del più famoso maestro lombardo

A individuarne la figura, sino ad allora ectoplasmatica, fu Roberto Longhi, che intorno alla «Cacciata dei mercanti dal Tempio» (1613-15 ca) della Gemäldegalerie di Berlino riunì nel 1943 altre tre opere della stessa mano. Inciampò, però, sulla nazionalità, e poiché quelle tre opere erano attribuite al fiammingo Louis Finson, pensò a un’origine oltremontana («una delle più autorevoli figure del caravaggismo nordico», scrisse).

È a Gianni Papi, fra i massimi studiosi di Caravaggio e del Caravaggismo, che lo indaga dal 1991 (quando ne scrisse su «Arte Cristiana», poi nel 1992 e nel 2001, in due monografie), che si deve la scoperta del nome e dell’origine di Cecco del Caravaggio, avendo identificato quel garzone, allievo e modello di tanti dipinti di Caravaggio con Francesco Boneri (1585 ca-post 1620), pittore sino ad allora ignoto, la cui famiglia era forse legata da amicizia o da una lontana parentela con quella del Merisi. E dunque di origine lombarda.

«Sino ad allora questo artista, di cui si conservano rarissimi documenti, spiega Gianni Papi, era solo un soprannome, nemmeno troppo benevolo, citato solo da Giulio Mancini nelle “Considerazioni sulla pittura” (1617-21 ca) e da Giuseppe Sylos, in uno dei suoi sonetti (1673). Nessun altro biografo ne parla: sospetto che quel soprannome, Cecco del Caravaggio, alludesse soprattutto alla sua relazione con il maestro, come suggerisce, alla metà del Seicento, un viaggiatore inglese che lo definisce “his boy”, aggiungendo “that laid with him”».

Per arrivare all’identificazione, Gianni Papi è partito da documenti pubblicati nel 1989 su «Paragone» ma non correttamente interpretati, che includevano, inavvertita, l’anagrafe Francesco Boneri, e ne ha corroborato l’origine lombarda anche «grazie alla presenza di due suoi dipinti nella collezione Agliardi di Bergamo, in cui confluì la raccolta Pesenti, che riuniva soprattutto artisti di ambito lombardo-veneto, ma in virtù anche delle tangenze con la pittura del grande Savoldo, bresciano: quando Cecco poté vedere le sue opere, però? E dove? Quand’era giovanissimo, prima di seguire Caravaggio a Roma? Oppure più tardi, in Lombardia, dopo che la sua “Resurrezione” del 1620, oggi a Chicago, fu rifiutata dal committente Piero Guicciardini, rappresentante dei Medici a Roma? Dopo tale data, di Cecco non si hanno più tracce. Tornò forse in Lombardia? Non lo sappiamo».

La mostra «Cecco del Caravaggio. L’Allievo Modello», a cura di Gianni Papi e Maria Cristina Rodeschini, che l’Accademia Carrara dedica dal 28 gennaio al 4 giugno a questa figura sfuggente, di cui però conosciamo le fattezze attraverso almeno sei dipinti del Merisi (tra l’altro, il sensuale «San Giovanni Battista» dei Musei Capitolini, e il David del dipinto della Galleria Borghese, dove la testa di Golia è un autoritratto di Caravaggio, entrambi in mostra) è la prima in assoluto.

Dei 25 dipinti circa che oggi conosciamo (tutti segnati dal suo anticonformismo e da modi taglienti e iperrealisti), ben 19 sono riuniti qui, insieme a opere di Caravaggio e anche di Savoldo, cui guardò con evidenza, e ad altre di artisti a lui vicini, come Valentin de Boulogne, Bartolomeo Mendozzi, Pedro Núñez del Valle, giunte da grandi musei italiani e internazionali. Lui, che forse nel 1606 seguì a Napoli il maestro dopo l’assassinio di Ranuccio Tomassoni, avrebbe influito sulla pittura romana e napoletana ma anche su quella bergamasca, specie con le sue nature morte di strumenti musicali, cui guardò Evaristo Baschenis.

«Ecco una delle ragioni che mi hanno indotta a condividere la proposta avanzata da Gianni Papi di realizzare qui questa mostra inedita, ci dice Maria Cristina Rodeschini. Non solo siamo di fronte a uno dei più importanti pittori caravaggeschi ma, essendo il museo un luogo di ricerca, trovavo stimolante affrontare una figura conosciuta solo dagli specialisti, riassumendo l’incredibile ricerca condotta in quarant’anni da Papi. Se poi si aggiungono l’ipotesi, sostenuta da sempre più numerosi dati, che si trattasse di un Boneri, lombardo, e l’indubbio influsso ricevuto da Savoldo ed esercitato su Baschenis, la mostra mi sembrava perfetta per questa importante occasione».

E che la rassegna abbia già suscitato molto interesse, continua, «è confermato dalle reazioni dei musei internazionali, tutti felici di prestare ma anche dispiaciuti di non averci pensato loro per primi. Lo stesso Art Institute di Chicago, dove si trova l’inamovibile “Resurrezione”, e il Getty, che dispone di una “Sibilla”, condividono l’iniziativa, accendendo l’attenzione sulle loro opere e diventando così avamposti della nostra mostra negli Stati Uniti».

«Fabbricante di strumenti musicali» (1610 ca), di Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio (particolare), Londra, Apsley House, Wellington Museum. © Historic England Archive

Ada Masoero, 19 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

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