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La mia sacra sfida al contemporaneo

Mariella Rossi

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Il Museo Diocesano Tridentino custodisce il patrimonio della Diocesi, il tesoro della cattedrale e le testimonianze del Concilio di Trento e fino al 29 agosto presenta la personale di Lea Botteri «Officina segreta», volta a valorizzare le proprie raccolte di arte moderna e contemporanea. Ne parla la direttrice Domenica Primerano.

Da che cosa è scaturita l’idea della mostra?

Sono trascorsi trent’anni dalla morte di Lea Botteri (1903-1986), artista trentina dedita quasi esclusivamente all’incisione su legno, una passione che coltivò intimamente e con grande discrezione. Come altre protagoniste femminili della xilografia italiana, la sua produzione rimase nell’ombra; anche per questo vorremmo riportare l’attenzione sul suo lavoro. Sono esposti una cinquantina di fogli della collezione di arte moderna e contemporanea del nostro museo, nei quali si alternano scorci di città, soggetti sacri e temi floreali. Sono presenti anche numerosi ex libris inediti, uno dei quali realizzato per monsignore Giovanni Battista Fedrizzi, direttore del Diocesano nel 1943-59.

Com’è nata la collezione di arte moderna e contemporanea?

Fu Fedrizzi a dare vita alla raccolta. Assunta la direzione del museo, puntò subito sull’arte contemporanea. Consapevole del progressivo incrinarsi della storica alleanza tra cristianesimo e arti visive, si attivò per avvicinare il giovane clero alla produzione contemporanea e per stimolare parallelamente l’interesse degli artisti trentini sui temi del sacro. Li frequentava, li sosteneva, li incoraggiava a proseguire nella loro ricerca, pur nel difficile clima del dopoguerra; commissionava loro opere che poi confluivano nelle raccolte museali. Lui stesso mise insieme una consistente collezione personale che poi donò al museo. Oggi il fondo, costituito in gran parte da incisioni, supera le duemila unità. Sono presenti moltissimi dei protagonisti della scena locale, e non solo, di tutto il Novecento: Guido Polo, Bruno Colorio, Carlo Bonacina, Romano Conversano, Bruno da Osimo, Remo Wolf, Othmar Winkler, ma anche Eugenio Prati, Gino Pancheri, Tullio Garbari, Umberto Moggioli, Giovanni Segantini e Fortunato Depero, tra gli altri.

Avete progetti per valorizzare questo patrimonio? 

La mostra dedicata a Lea Botteri inaugura un percorso espositivo e di ricerca pensato per valorizzare la raccolta. Lo abbiamo chiamato «Sguardi trentini sul ’900», pensando sia allo sguardo degli artisti che hanno interpretato il loro tempo, sia al nostro sguardo che si misura con la loro produzione già storicizzata. È un esercizio di progressivo avvicinamento al contemporaneo al quale invitiamo i nostri visitatori, più abituati a confrontarsi con la produzione antica esposta nel percorso permanente, che è un’arte più «riconoscibile» e dunque (solo in apparenza) più semplice da comprendere rispetto a quella del nostro tempo. Le creazioni contemporanee sono fatte di «oggetti ansiosi», come li definisce Harold Rosenberg, che spesso provocano disagio e irritazione. La sfida alla quale siamo chiamati è proprio questa: stabilire relazioni tra storia e contemporaneità.

Qual è il bilancio del suo primo anno da presidente dell’Amei-Associazione Musei ecclesiastici Italiani?

La situazione complessiva non è rassicurante: le risorse vengono gradualmente ridotte e molti musei sopravvivono come depositi attrezzati. Un museo deve poter valorizzare ciò che conserva, offrire occasioni di conoscenza e crescita, aprirsi al confronto, essere inclusivo. Nonostante possa sembrare paradossale, ritengo che la strategia vincente per superare questo momento di stallo passi anche attraverso l’arte contemporanea. Occupandosene, i nostri musei recupereranno un ruolo centrale: coinvolgeranno nuovi pubblici offrendo spazi di riflessione sulle grandi domande della vita, contribuendo al contempo a riavvicinare la comunità ecclesiastica all’elaborazione culturale collettiva del nostro tempo, dalla quale, spesso, molti credenti rimangono estranei.

Mariella Rossi, 14 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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