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La «Hall of Fame» di Andy Warhol

È tutta social la comunicazione che preannuncia la mostra «Andy Warhol. Pop Society» che si apre a Palazzo Ducale a partire dal 21 ottobre. Un invito attraverso i social media rivolto soprattutto alla nuova generazione che pratica intensamente i selfie per conoscere o per approfondire l’opera di uno degli artisti che, a torto o a ragione, è considerato il profeta dell’immersione nel flusso continuo di informazioni e immagini che caratterizza l’epoca attuale.

A cura di Luca Beatrice, la mostra è prodotta e organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e da 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE e comprende 170 opere tra tele, stampe, disegni, polaroid, sculture e oggetti, provenienti da collezioni private, musei e fondazioni pubbliche e private italiane e straniere esposte nelle sale dell’Appartamento del Doge fino al 26 febbraio.

Sei le linee conduttrici del percorso: le icone, i ritratti, i disegni, il rapporto dell’artista con l’Italia, le polaroid, la comunicazione e la pubblicità. E se i disegni preparatori di opere quali «Dollar Sign» (1981) o il ritratto di Mao (1972) raccontano quanto Warhol abbia deliberatamente rinunciato alla perizia artistica che faceva parte della sua formazione, l’ampia sezione dedicata alle fotografie istantanee (oltre 90 pezzi) fa apparire in una nuova luce il concetto di immediatezza acquisito oggi, a oltre quarant’anni di distanza. Non manca tutto il repertorio della consueta «hall of fame» warholiana: cose e persone che vanno da Marilyn Monroe al barattolo di zuppa Campbell, dalla scatola Brillo a Jackie Kennedy, da Liza Minnelli a Mick Jagger e agli italiani Gianni Agnelli e Giorgio Armani.

Anna Costantini, 15 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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La «Hall of Fame» di Andy Warhol | Anna Costantini

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