Oggetto della rassegna sono i vent’anni cruciali della ricerca dell’artista toscano, dal 1948 quando, con dipinti dalla forte impronta astratto-costruttiva, poneva le basi della sua ricerca futura, fino al 1968, quando ebbe una sala personale alla Biennale di Venezia.
Uomo di scienza (era laureato in chimica e in farmacia), appassionato di musica (suonava il violino e il pianoforte), Nigro (Pistoia 1917-Livorno 1992) scelse l’arte visiva. Nel 1949 aderì al Mac-Movimento Arte Concreta, da poco fondato a Milano da Dorfles, Munari, Soldati e Monnet, e già nel 1950 avviò la serie degli «Scacchi», fondamento dell’indagine sulla percezione sviluppata negli anni a venire con i vertiginosi dipinti dello «Spazio totale».
Proprio gli «Scacchi» (1950) abitano la grande sala del piano superiore, seguiti dai profetici «Ritmi obliqui» del 1948 e da opere del ciclo «Spazio totale» (1954), nelle quali la bidimensionalità, per l’intersecarsi di piani diversamente orientati, sprofonda in spazi all’apparenza tridimensionali.
Dello stesso 1954 è «Tempo e spazio: tensioni reticolari: simultaneità di elementi in lotta», l’opera che accoglie i visitatori all’ingresso, portando in sé le tensioni e i drammi che culmineranno nei lavori del 1956, quando l’invasione sovietica dell’Ungheria mandò in frantumi le certezze politiche di Nigro, e pose fine, per lui, anche alle «certezze» della geometria. Il piano inferiore chiude il percorso con i lavori esposti nella sala veneziana del 1968, pensata come una sorta d’installazione immersiva, nella quale interagivano opere da parete e strutture colonnari. In catalogo, un saggio di Luca Massimo Barbero.
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