La buonanotte scolpita nel marmo di Helena Hladilova

Da Almanac Inn il ritorno dell’artista ceca tra metamorfosi e maternità

Slepice (2021) di Helena Hladilova © Courtesy of the artist and Almanac, London/Turin. Foto Sebastiano Pellion «Zefide» (2021) di Helena Hladilova © Courtesy of the artist and Almanac, London/Turin. Foto Sebastiano Pellion «Helena Hladilova: Perdix», Installation view, Almanac Inn, Torino © Courtesy of the artist and Almanac, London/Turin. Foto Sebastiano Pellion «Helena Hladilova: Perdix», Installation view, Almanac Inn, Torino © Courtesy of the artist and Almanac, London/Turin. Foto Sebastiano Pellion Basilisk (2021) di Helena Hladilova © Courtesy of the artist and Almanac, London/Turin. Foto Sebastiano Pellion «Helena Hladilova: Perdix», Installation view, Almanac Inn, Torino © Courtesy of the artist and Almanac, London/Turin. Foto Sebastiano Pellion «V lese» (2021), di Helena Hladilova © Courtesy of the artist and Almanac, London/Turin. Foto Sebastiano Pellion «Maruga» (2021) di Helena Hladilova © Courtesy of the artist and Almanac, London/Turin. Foto Sebastiano Pellion
Matteo Mottin |  | Torino

«Si narra che un tempo le tartarughe fossero gli esseri più veloci del pianeta. Le si poteva udire sfrecciare tra l’erba alta dei prati o coglierne il bagliore dei gusci sulle radure mentre si sfidavano a tutta velocità galoppando sulle loro cinque protuberanze a forma di dita. Quando passavano per le distese di granturco, le spighe si piegavano e cambiavano di colore.

Gli unici esseri in grado di riconoscere questo cambiamento erano gli umani, dotati di una vista acuta ma privi di arti con cui spostarsi. Da sempre fidati arbitri delle tartarughe, gli umani se ne stavano immobili al traguardo indicando con il mento i punteggi nel granturco. Un giorno un’antica veterana delle corse decise di ritirarsi dall’agonismo e come segno di amicizia donò le sue dita agli umani. Questi, essendo più pesanti delle tartarughe, si muovevano più lenti per cui iniziarono a usare le dita, anziché per gare di velocità, per raccogliere il cibo e portarselo alla bocca, smettendo così di doverlo brucare da terra.

Un giorno colsero una patata dal giardino del toro serpente che si inferocì e decise di punire sia loro sia le sprovvedute tartarughe: trasformò gli umani in uccelli e rese lente le tartarughe. Il toro serpente buttò tutte le dita degli umani e delle tartarughe in mare, dove furono raccolte e usate dai pesci. Ma i pesci presto si accorsero di non riuscire a nuotare bene con i nuovi arti e pian piano uscirono dall’acqua. È da loro che noi tutti discendiamo».

Questa fiaba potrebbe essere il filo che connette le opere presentate da Helena Hladilova nella personale «Perdix» allestita fino al 5 dicembre negli spazi di Almanac Inn a Torino. La mostra rappresenta un importante ritorno dell’artista al fare arte dopo un lungo periodo dedicato esclusivamente ai suoi figli: le opere da cui è composta sono il frutto di un allontanamento dalle scene e di un avvicinamento al mondo fantastico, giocoso e pieno di fiabe dei suoi bambini.

Tutti i soggetti rappresentati nei bassorilievi in marmo, alcuni dei quali dipinti ad acquerello, o nelle fusioni in bronzo, o ancora negli accostamenti e collage tra pietre lavorate e metallo, vengono dalle fiabe della buonanotte che l’artista negli anni ha inventato e raccontato ai suoi figli, storie accomunate dal tema della metamorfosi.

Se da una parte la metamorfosi rispecchia l’immaginario infantile, dall’altro fa trasparire la necessità di Hladilova di adattarsi alla sua nuova duplice figura di madre e di artista, il farsi ponte tra dimensione immaginaria e reale, domestica e sociale, familiare e lavorativa. La solida responsabilità di questo suo farsi tramite la ritroviamo nella durezza e pesantezza dei materiali con cui ha scelto di lavorare.

Il suo accettare questa nuova condizione naturale, parte del corso della vita, si riflette nella morbida mutevolezza e giocosità dei soggetti, nel loro essere elemento per la libera costruzione di storie, come quella che ho scritto in apertura di questa recensione, e non di statiche asserzioni eternamente fissate nel marmo e nel bronzo.

Come prosecuzione all’aspetto ibrido e narrativo di «Perdix», al progetto espositivo è affiancata una pubblicazione per bambini che raccoglie le storie scritte da artisti, artiste, scrittori e scrittrici con figli invitati a inventare una nuova serie di metamorfosi che vadano oltre i lavori di Helena Hladilova. Se in «Perdix» le storie hanno dato forma alle opere, nella pubblicazione sono le opere a dare forma a nuove storie.

La sensazione che ci lascia il ritorno al fare arte di Hladilova si intona con un sentire caratteristico del nostro presente, in cui spesso la finzione informa la realtà in una maniera molto più sincera e puntuale dei fatti.

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