«Birth Hood» (1965-2011), il cofano di un’auto dipinto da Judy Chicago. © Donald Woodman. © Judy Chicago/Ars New York. Courtesy Salon 94 and Jessica Silverman Gallery

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«Birth Hood» (1965-2011), il cofano di un’auto dipinto da Judy Chicago. © Donald Woodman. © Judy Chicago/Ars New York. Courtesy Salon 94 and Jessica Silverman Gallery

Judy Chicago contro machismo e Minimalismo

La più grande mostra sull’artista che suscitò l’ira di Richard Serra

Grazie alla sua installazione «Dinner Party» (1974-79), Judy Chicago è famosa per avere dato alle donne un posto metaforico al tavolo della storia dell’arte, dominato dagli uomini.

La mostra «Judy Chicago: la resa dei conti», all’Institute of Contemporary Art di Miami (ICA Miami) dal 4 dicembre al 21 aprile, riunisce sette altre creazioni dell’artista prodotte tra gli anni Sessanta e Novanta per presentare un quadro più completo del contributo della Chicago alla storia dell’arte, compresi pezzi meno noti e raramente esposti. La mostra offre una delle più ampie rassegne mai realizzate della variegata carriera dell’artista, riproponendo le sue prime sculture e i suoi dipinti minimalisti, come la tela dai colori accesi ispirata alla Op-art «Heaven is for White Men Only» (1973), e la sua transizione verso l’arte figurativa, come dimostrato dalla serie «PowerPlay» degli anni ’90.

Secondo il direttore artistico dell’ICA Miami, Alex Gartenfeld, l’opera dell’artista settantanovenne è sempre stata tempestiva, avendo sempre riguardato temi come le dinamiche sociali del potere, la condizione femminile e persino i disastri ecologici. «Una cosa che mi sorprende sempre è come per decenni la sua opera sia stata trattata come di importanza secondaria», dice Gartenfeld. Aggiungendo che tanto i critici quanto gli studiosi hanno lodato le sue opere, suggerendo al tempo stesso in modo subdolo come esse non fossero in grado di competere con quelle dei suoi colleghi maschi. «Era troppo didattica, o non sufficientemente formale», dice. La Chicago, tuttavia, non si sottraeva al paragone delle proprie opere con quelle dei suoi contemporanei maschi.

La mostra mette in risalto la sua ferma voce femminista, che continua a ridisegnare la comprensione del canone storico del Modernismo. Il percorso comprende piatti di prova per il «Dinner Party» esposti pubblicamente per la prima volta, oltre ai dipinti a tinte accese della Chicago di forme biomorfiche su cofani d’auto. «La sua tavolozza di colori è unicamente sua, spiega Gartenfeld. Ma non si faceva problemi a utilizzare questi materiali industriali prodotti in serie», anche artisti come Donald Judd e Carl Andre inserivano nei loro lavori contenuti austeri.

Le sculture della serie «Sunset Squares», create nel 1965, mescolano l’aspetto dei grandi cubi di Judd con uno sfrontato ammiccamento agli artisti del movimento Light and Space come Robert Irwin, sebbene il centro dei quadrati sia tagliato via lasciando un vuoto gigante. «Era davvero molto impegnata in quella conversazione artistica, proponeva una critica del machismo del minimalismo», afferma Gartenfeld. Un’altra opera più effimera verrà rifatta per un solo giorno in forma di installazione di fumo site-specific nel giardino scultoreo del museo, il 23 febbraio 2019.

I suoi pezzi di fumo degli anni ’60 e inizi anni ’70 erano originariamente sviluppati come una critica all’architettura monumentale e a ciò che percepiva come la tendenza degli artisti maschi del territorio a distruggere la natura a vantaggio della loro eredità artistica.

In effetti nel 1970 divenne oggetto dell’ira di Richard Serra, quando lo biasimò per avere abbattuto un gran numero di sequoie per una mostra al Pasadena Art Museum in California. «Avere combattuto con le reazioni ambivalenti, se non del tutto negative, al suo lavoro con un così alto livello di ambizione e di fiducia nell’importanza dei temi in esso affrontati, è davvero umiliante, prosegue Gartenfeld. Mette sul tavolo più idee ed energia di qualsiasi altro artista io abbia incontrato. Ha sempre pensato alla sua collocazione nella storia dell’arte, la stiamo solo rivedendo». Lo sponsor principale della mostra è MaxMara.

«Birth Hood» (1965-2011), il cofano di un’auto dipinto da Judy Chicago. © Donald Woodman. © Judy Chicago/Ars New York. Courtesy Salon 94 and Jessica Silverman Gallery

Margaret Carrigan, 03 dicembre 2018 | © Riproduzione riservata

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