Jacobus Vrel, il Vermeer dei poveri

La prima monografica sull'enigmatico pittore seicentesco

«Donna che saluta una bambina alla finestra» (1650 ca), di Jacobus Vrel. Parigi, Fondation Custodia, Collection Frits Lugt. © Fondation Custodia, Collection Frits Lugt, Parigi
Giovanni Pellinghelli del Monticello |  | MONACO DI BAVIERA

Dal 19 ottobre al 23 gennaio l’Alte Pinakothek di Monaco, con la Fondation Custodia di Parigi e il Mauritshuis dell’Aia (sedi delle successive tappe), allestisce con circa 50 dipinti e opere su carta la prima mostra monografica dedicata al pittore Jacobus Vrel, inserendolo nel contesto della pittura olandese dell’Età dell’Oro.

Le opere di Vrel, autore enigmatico e perfino inquietante (di cui, nonostante l’ampio lavoro di ricerca archivistica dalla sua scoperta nel XIX secolo, pochissimo si è rintracciato di biografia personale e professionale), sono state spesso considerate di Pieter de Hooch o dell’ancor più celebre Jan Vermeer, tanto da procuragli l’ingeneroso stigma di «Vermeer du Pauvre» in un discusso articolo di Gérard Regnier del 1968 («Gazette des Beaux Arts»), benché oggi le sue scene di strada e i suoi interni siano esposti nei più noti musei del mondo e rarità ambite dai collezionisti.

I suoi dipinti «apparentemente» illustrano la banale vita quotidiana di una piccola città olandese nel XVII secolo ma, con le sue immagini e figure decentrate sino a sfiorare l’anamorfismo e le atmosfere silenti e rarefatte, Vrel crea tempi e mondi sospesi in cui lo spettatore si ritrova spaesato e senza guida di lettura. Le figure mostrano solo le spalle; perse nei lori pensieri appaiono distanti, lunari.

La quiete immobile dei suoi interni si fa opprimente, fino a quasi «schiacciare» chi osservi. Non senza ragione è stata ripetutamente sottolineata un’affinità con il pittore danese Vilhelm Hammershøi (1864-1916), le cui composizioni di atmosfera metafisica datano, però, a due secoli dopo.

Altrettanto insolite sono le scene di strada di Vrel. La disposizione spaziale degli edifici evoca moderni set cinematografici o teatrali, con analogie quasi impossibili da ritrovare nella pittura olandese degli stessi anni. Nessun plausibile paradigma pittorico è ipotizzabile né sono rintracciabili similitudini con artisti coevi più noti.

Sempre in formato verticale, le composizioni mostrano case in mattoni a più piani ma strette, con tetti a due spioventi, l’una all’altra affiancate. Rare figure popolano gli stretti vicoli lastricati di ciottoli.

Sono immagini ambigue: o luoghi reali che Vrel riporta effettivamente sulla tela o sua pura invenzione, distaccata dai suoi immediati dintorni. La mostra illumina dunque il presagio pittorico surrealista che va individuato nell’opera di Vrel, pittore precursore di un’arte slegata dalla realtà oggettiva e il cui segreto si svela solo alla rilettura d’un secondo sguardo, dimostrando come Vrel debba essere visto più come precursore di Pieter de Hooch e Vermeer che non come loro epigono.

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