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Il Risorgimento ha fatto boom

Un secolo, fino alla Pop art, per fare l’Italia

Se nel 1861 è stata fatta l’Italia, lo stesso non si può dire degli italiani. Per vedere compiuto il monito pronunciato da Massimo D’Azeglio all’indomani dell’Unità d’Italia per auspicare la nascita di un’identità nazionale, «fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani», c’è voluto, infatti, circa un secolo. Gli anni Sessanta dell’Ottocento e del Novecento sono stati dunque due decenni cruciali, come testimonia la mostra «Dai ’60s ai ’60s. Un secolo dopo l’Unità d’Italia, la Pop art», curata da Luca Beatrice e Ferruccio Martinotti al Museo Nazionale del Risorgimento fino al 17 settembre (catalogo Allemandi).
 
I volti e le imprese dei Mille sono documentati da una selezione di disegni, incisioni, dagherrotipi e dipinti, più e meno celebrativi, di Carlo Bossoli, Michele Cammarano, Angelo Trezzini, Felice Cerruti Bauduc, Raffaele Pontremoli e Carlo Chessa. Sono raffigurazioni perlopiù storico realistiche in cui la sincera devozione agli ideali risorgimentali nobilita anche le scene di morte e di battaglia più cruente.


A fare da contrappunto, opere della Pop art italiana, nata circa un secolo più tardi insieme al boom, alla televisione (1954), alla grande alfabetizzazione, alla classe operaia e all’insorgenza di un nuovo immaginario collettivo legato al mondo dei consumi che ha contribuito, forse più di qualunque propaganda, a uniformare gli italiani. Lo si comprende, per esempio, nei décollage di Mimmo Rotella, eseguiti con manifesti e locandine strappati a scavare sotto la superficie di seducenti icone del cinema e della pubblicità, nelle serigrafie di Franco Angeli, ove simboli del potere vengono reiterati e svuotati del loro significato, nei dipinti di Tano Festa, che si interroga sul senso dell’antica tradizione artistica italiana, di Mario Schifano, Renato Mambor, Giosetta Fioroni, Valerio Adami e tanti altri ancora.

Jenny Dogliani, 08 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

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Il Risorgimento ha fatto boom | Jenny Dogliani

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