Il «non eloquente» Domenico Gnoli in oltre 100 opere

Per la mostra alla Fondazione Prada la rilettura della sua opera è stata affidata a Salvatore Settis

Domenico Gnoli, «Apple», 1968. Cortesia di Sa Bassa Blanca Museum-Yannick and Ben Jakober Foundation. © Domenico Gnoli, by SIAE 2021
Ada Masoero |  | Milano

«In un momento come questo, di iconoclastica antipittura, che vorrebbe rompere tutti i ponti con il passato, io tendo a collocare il mio lavoro in quella tradizione “non eloquente” nata in Italia nel Quattrocento e arrivata fino a noi passando, da ultimo, dalla scuola metafisica»: così scriveva Domenico Gnoli (1933-70) nel suo testo nel catalogo del Premio Marzotto 1966-67, cui partecipava con cinque importanti dipinti.

Come segnala Salvatore Settis nel limpido saggio che ha steso per il catalogo della monografica alla Fondazione Prada (dal 28 ottobre al 27 febbraio), l’artista si poneva così nel solco di Piero della Francesca, maestro che Bernard Berenson aveva appunto ascritto all’area dell’«arte non eloquente» nel saggio omonimo del 1950.

Per un figlio e nipote, com’era Domenico Gnoli, di autorevoli (e severissimi) storici dell’arte, la formazione era stata quella, nota Settis, «appresa più dalla biblioteca di casa che dalle pareti di un museo». E di lì il suo itinerario si era svolto, percorrendo le strade di una pittura che sarebbe rimasta sempre, per sua scelta, «non eloquente» e che avrebbe trovato legittimazione, in quella stagione «antipittorica», solo con l’imporsi della Pop art. Con cui Gnoli condivise l’inclusione, nell’opera d’arte, di oggetti del quotidiano, traducendoli però, a differenza di quella, in un linguaggio che Lorenza Trucchi non esitò a definire «aristocratico».

Un outsider, dunque (ma non certo un isolato, presente com’era nel dibattito del tempo), al pari di altri artisti che la Fondazione Prada ha già voluto affrontare (Edward Kienholz, Leon Golub, William Copley), cui Miuccia Prada, Patrizio Bertelli e Germano Celant avevano scelto di dedicare un ampio omaggio (oltre 100 le opere esposte) ma di cui lo studioso, scomparso poco dopo la prima formulazione, non ha potuto lasciare che l’impianto generale e pochi appunti.

La rilettura della sua opera è stata così affidata a Salvatore Settis, che ha evidenziato la dualità dell’«anima» artistica di Gnoli, la sua «“doppia carriera”, in bilico tra grafica narrativa e scenografia teatrale da un lato, pittura analitica dall’altro».

Gnoli aveva infatti iniziato come illustratore visionario e geniale scenografo: applauditissima la scenografia del 1955 di «As You Like It-Come vi piace» di William Shakespeare per l’Old Vic di Londra, che proiettò la sua fama anche oltreoceano, dove dal 1959 avrebbe trascorso lunghi periodi, e dove sarebbe morto, a New York.

Aveva poi scelto la pittura, creando superfici dall’apparenza di affresco, ottenute mischiando sabbia ai pigmenti, in cui riproduceva con apparente impassibilità frammenti ingigantiti della realtà più banale: bottoni, cravatte, revers di giacche, occhielli, boccoli di capelli, o ritratti, ma di schiena. «La rivincita degli elementi insignificanti e squalificati dalla classifica dei valori: il basso e il secondario, l’accessorio e il trascurabile», come notava nel 2013 Germano Celant, cui si deve l’articolazione della mostra, sui due piani del Podium, in nuclei tematici, in cui si legge la frequente gemmazione di nuove opere da dipinti precedenti.

Fondazione Prada ha poi annunciato che la settima edizione di «Riccardo Muti Italian Opera Academy», per la prima volta organizzata nei suoi spazi, si terrà a Milano dal 4 al 15 dicembre. Il pubblico potrà partecipare a tutte le prove e i concerti, focalizzati sul «Nabucco», diretto da Riccardo Muti. Alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, il Maestro realizzerà un progetto di formazione per giovani diplomati in Direzione d’Orchestra o Pianoforte (18-35 anni), da lui selezionati tra candidature giunte da tutto il mondo.

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