Il Louvre indaga se stesso

Il museo ha avviato un imponente progetto sulla provenienza delle opere e ha messo online un catalogo di quasi tutte le sue collezioni

Musée du Louvre, Parigi
Vincent Noce |  | Parigi

La ricerca sulla provenienza è «senza dubbio la principale questione che i musei dovranno affrontare nei prossimi anni per mantenere la loro credibilità», afferma l'ormai ex direttore del Musée du Louvre, Jean-Luc Martinez (dopo un breve mandato «ad interim», avvicendato da Laurence de Cars, già presidentessa del Musée d'Orsay). Il museo ha messo online un catalogo di quasi tutte le sue collezioni, raccogliendo circa 485mila oggetti tratti da decine di banche dati interne. In precedenza, il pubblico aveva accesso unicamente alla schedatura di circa 30mila opere esposte nelle gallerie.

Nella categoria Musées Nationaux Récupération (Mnr) sono elencate più di 1.700 opere che sono state recuperate in Germania dopo la seconda guerra mondiale ma che non sono mai state restituite ai discendenti dei legittimi proprietari. Le opere non appartengono allo Stato francese, ma sono gestite dal Louvre e affidate ai Musées Nationaux per la custodia. Sul nuovo sito web si dichiara che il Louvre «è impegnato a condurre ricerche per trovare i legittimi proprietari o eredi e beneficiari dei beni».

Alla fine del 2017 il museo ha aperto due gallerie specificatamente per i dipinti del Mnr al fine di incoraggiare gli eredi a farsi avanti e negli ultimi tempi ha svolto ricerche su circa due terzi delle 13.943 opere acquisite tra il 1933 ed il 1945 aventi una provenienza problematica. Si prevede che il museo caricherà presto i risultati di queste ricerche sul nuovo catalogo digitale. Il sito web «si sta evolvendo e mettere il catologo online è solo un primo passo», ha spiegato Martinez.

Il funzionario insiste affinché la «due diligence» venga estesa alle opere acquisite fino ad oggi, poiché diversi musei francesi sono stati coinvolti in aspre battaglie legali su opere d’arte razziate e acquistate anche decenni dopo la seconda guerra mondiale. Poiché la Francia è stata spesso accusata di aver ritardato il processo di restituzione dell’arte saccheggiata in epoca nazista, nel gennaio 2020 Martinez, per la prima volta nella storia dei musei francesi, ha nominato la studiosa Emmanuelle Polack alla guida di un progetto di ricerca sulla provenienza delle opere del Louvre.

La Polack ha iniziato il suo lavoro fornendo ai curatori del museo copie della legge francese del 22 luglio 1941 che ordinava l’«arianizzazione» di qualsiasi azienda posseduta o gestita da ebrei, comprese le principali gallerie d’arte parigine. Molti curatori erano preoccupati e temevano che si stesse aprendo un vaso di Pandora in quanto sotto l’occupazione nazista il Louvre fece acquisti nel fiorente mercato dell’arte della capitale e dopo la Liberazione tenne persino una mostra intitolata «Nuove acquisizioni, 1940-1945». Nel 1999, dopo una tenace resistenza, il museo è stato condannato a restituire dipinti saccheggiati in Germania, tra cui un Tiepolo che ora si trova al J. Paul Getty Museum di Los Angeles.

Oggi, il Louvre deve affrontare altre richieste di restituzione relative ad acquisizioni realizzate al momento della dispersione della collezione di Armand Isaac Dorville a Nizza nel 1942. Diverse opere sono già state restituite agli eredi: nel gennaio 2020 il Ministero della Cultura tedesco ha restituito tre opere che vennero acquisite da Hildebrand Gurlitt, il mercante d’arte di Hitler.

In una riunione dello scorso 10 marzo i capidipartimento del Louvre hanno espresso il loro sollievo per il fatto che siano stati effettivamente trovati pochissimi casi di opere d’arte potenzialmente saccheggiate. Alcuni sembravano ancora riluttanti ad ammettere che le opere trovate sul mercato francese dell’epoca potessero provenire da famiglie ebree perseguitate. È stata anche invocata una cooperazione internazionale, soprattutto con il British Museum, su casi come la vendita della collezione Pringsheim nel 1939 da Sotheby’s a Londra, ovviamente sotto costrizione nazista, vendita durante la quale diversi musei hanno acquisito importanti maioliche.

Martinez ha chiesto ai curatori di condurre la stessa indagine per le opere delle ex colonie. Dice di essere stato colpito durante i suoi viaggi all’estero, dal numero di volte in cui il Louvre viene accusato di detenere collezioni saccheggiate, il che, insiste, è «solo marginalmente vero». Le collezioni asiatiche della Francia furono trasferite nel 1945 al Musée Guimet e quelle dell’Africa o dell’Oceania si trovano al Musée du Quai Branly per cui la ricerca sulla provenienza coloniale del Louvre si concentra principalmente sulla scultura romana e sugli oggetti provenienti dall’Algeria, dalla Tunisia, dalla Siria e dal Libano.

Sono anche in programma mostre sui reperti archeologici di queste ex colonie o protettorati e il museo intende esaminare la provenienza di oggetti di altri imperi europei. «Le nostre collezioni sono per lo più archeologiche e provengono da scavi condivisi con i Paesi d’origine. Chiaramente musei come il Louvre erano al servizio di ambizioni imperialiste: dobbiamo affrontare questa eredità e il nostro rapporto con l’ex Impero ottomano. Ma queste acquisizioni erano legali, frutto di accordi bilaterali. Dobbiamo però spiegarlo a un pubblico ampio», dice Martinez.

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