Dei nove «Dialoghi» che James Bradburne, direttore generale di Brera, ha realizzato sinora nella Pinacoteca di Brera, ben tre sono dedicati a Caravaggio, uno dei numi tutelari del museo milanese, che possiede la sua «Cena in Emmaus» del 1606. E a Caravaggio è dedicato fino al 25 settembre il IX Dialogo (catalogo Marsilio), a cura di Letizia Lodi, che mette a confronto la «Cena» con lo sconvolgente «Davide con la testa di Golia», capolavoro assoluto appartenente anch’esso alla produzione tarda, eccezionalmente uscito dalla Galleria Borghese diretta da Francesca Cappelletti, all’interno di una politica di scambi con la Pinacoteca.
Già le fonti antiche sostengono che nel volto del gigante, sfigurato dalla morte, Caravaggio avesse raffigurato sé stesso. Ciò che ancora è oggetto di dibattito è la datazione di questo dipinto appartenuto al cardinale Scipione Borghese, che gli studiosi hanno di volta in volta assegnato all’ultima presenza dell’artista a Roma, prima dunque dell’assassinio di Ranuccio Tomassoni, nel maggio 1606, che lo costrinse a fuggire dalla città per evitare la decapitazione; oppure al periodo immediatamente successivo quando, riparato nei possedimenti dei Colonna, suoi protettori, in attesa di passare a Napoli, nell’estate del 1606 dipinse tre quadri (fra cui la «Cena» di Brera).
Altri infine lo collocano nel secondo soggiorno a Napoli, verso la fine del 1609. Per il suo tema (una decapitazione, come quella che attendeva l’artista a Roma), Maurizio Calvesi avanzò l’ipotesi che si trattasse di un dono dal forte significato simbolico che Caravaggio intendeva inviare a Paolo V Borghese attraverso il nipote, il cardinal Scipione, per ottenere la grazia. Grazia che arrivò, ma troppo tardi, perché l’artista nel frattempo morì, in circostanze misteriose, sulla spiaggia di Porto Ercole.
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