I volumi e i colori di Piacentino

A qualche anno dalla mostra alla Fondazione Prada, l’artista piemontese espone a Milano la sua ultima produzione

Una veduta dell’allestimento della mostra di Gianni Piacentino
Ada Masoero |  | Milano

Sono tutti lavori recenti, quando non recentissimi (in grande maggioranza, del 2023), con la sola esclusione di «Nickel Wing with Crown (Amaranth Flowers) and Crossed Propeller», 1972 (le ali con elica e corona, così identitarie della ricerca di quegli anni), quelli che compongono la personale di Gianni Piacentino presentata fino al 23 aprile da Federico Vavassori a Milano.

Eppure, il saggio che Tommaso Trini scrisse nel 1968 (l’artista torinese aveva allora 23 anni) per la mostra allo Studio Annunciata di Milano, che commenta anche questa personale, è tuttora una chiave di lettura efficacissima per una ricerca come la sua che, pur trasformata nel tempo, resta sempre fedele ai suoi principi fondanti e che spesso attualizza e conduce nell’oggi i modelli di allora.

Come scriveva Trini, «la ricerca propriamente formale e il ricorso al processo artigianale-tecnico che sfocia nel ”mobile”, sono più che mai integrati e interdipendenti. Le forme seguono un interno sviluppo sul principio della variazione: ecco che il palo diventa un corpo geometrico che situa lo spazio interno tra pavimento e soffitto, il tavolo si muta in architrave e la porta in una struttura meno analogica». E, ancora, «le sculture di Piacentino scardinano la divisione [tra arte e design]; con il sospetto della loro immagine e funzione ambigua rimandano dall’arte all’estetica industriale e viceversa».

Mentre la grande rassegna ordinata nel 2015 da Germano Celant in Fondazione Prada a Milano aveva puntato (negli spazi grandiosi del piano terreno del Podium) soprattutto sui «veicoli», e quindi sulla riflessione di Piacentino intorno alla velocità e ai mezzi di trasporto, qui si è scelto di lavorare intorno ai concetti di volume, forma, colore e materia.

Ecco allora, fra gli otto lavori in mostra, «Trans-Chrome Violet Small Pole (Model ’66)», 2017; «Trans-Chrome Gray-Blue Looking Glass Object (Model ’67)», 2019, o l’opera a parete «New Tech Metal Bivest+1 (Model ’65)_2», 2022-23, i cui colori trascoloranti, rigorosamente programmati dall’artista, diventano qualità della materia. Come spiega lui stesso, «al centro del mio lavoro c’è sempre la rilevanza del controllo tecnico e matematico. Non mi lascio sedurre dal rimosso e dalle pulsioni».

Del resto, quando lui esordiva, il soggettivismo di Action Painting e Informale lasciavano il posto ai due nuovi linguaggi della Pop Art e della Minimal Art: Piacentino non adottò nessuno dei due ma si pose alla loro intersezione, dando vita a un proprio linguaggio, del tutto autonomo, fatto di un controllo assoluto di ogni sua componente, cui rimane sempre fedele.

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