Scultrice donna, quando le donne scultrici erano pochissime; americana di formazione e di nazionalità ma ucraina di nascita (nel 1899, come Leah Berliawsky); ecologista ante litteram, avendo sempre utilizzato, per le sue sculture-assemblaggio e per i suoi collage, materiali riciclati e oggetti d’uso comune dismessi; attivista per la causa femminile con la National Association of Women Artists e con la sua stessa vita, Louise Nevelson (1899-1988) possiede tutti i requisiti per essere, oggi, sotto la luce dei riflettori.
E infatti, a Venezia, oltre a figurare alla Biennale nella mostra «Il latte dei sogni», è stata protagonista della grande esposizione inaugurale delle Procuratie Vecchie (chiusa l’11 settembre, Ndr), e nei mesi scorsi ha ricevuto l’omaggio di Gió Marconi a Milano.
Il suo vero merito, però, è quello di essere una grande artista, com’è confermato dalla grande antologica (la prima in Svizzera) «Louise Nevelson. Assembling Thoughts», che il Museo Comunale d’Arte Moderna, con Fondazione Marconi di Milano, le dedica dal 2 ottobre all’8 gennaio.
Le curatrici, Mara Folini, direttrice del museo, e Allegra Ravizza, hanno selezionato oltre 80 lavori, che coprono l’intero suo itinerario artistico, dai primi disegni di figura (femminile), influenzati da un lato dal Cubismo, dall’altro dalla pratica della «modern dance» di Martha Graham, fino alle celebri sculture formate da oggetti di legno variamente assemblati, da lei vestiti di una «pelle» nerissima o dorata.
Cuore della rassegna è però il nucleo dei 60 collage, in cui Louise Nevelson, tra il 1956 e il ’86, pur restando nel solco delle avanguardie del suo tempo, si abbandonava a un’inesauribile libertà creativa.
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