I nuovi archetipi di Paladino
Da Christian Stein il maestro della Transavanguardia presenta opere dal messaggio sempre più universale

Sei nuove opere, una delle quali di grandi dimensioni (intitolata curiosamente «Treno», forse per il formato allungato, perché null’altro sembra accomunarla a questo simbolo della «modernità»), compongono la nuova personale di Mimmo Paladino (Paduli, 1948) da Christian Stein, che si apre dal 23 febbraio fino al 13 maggio, a quattro anni dall’ultima, del 2019.
I lavori esposti sono riuniti intorno al gigantesco «telero» in cui l’artista ha realizzato una composizione abitata da segni ancestrali: ieratici simulacri umani che sembrano emergere, carbonizzati, da chissà quale scavo archeologico e che, poggiando su basamenti, rivelano la loro natura di idoli; teste stilizzate viste di nuca o di profilo; strane forme che paiono modelli da sartoria, e due nerissimi cerchi che, mentre rendono omaggio a Malevic, donano equilibrio alle forme bidimensionali disposte in un ordinamento rigorosamente paratattico, privo di qualunque gerarchia.
Forme archetipe, in bilico tra il mondo dei vivi e quello dei morti, che, con i loro colori primordiali (bianco, nero, ocra), salgono alla luce dalle profondità del tempo. Attingono al grande serbatoio delle più antiche culture fiorite intorno al Mediterraneo, da quella egizia (come suggerisce Sergio Risaliti nel suo testo, che pone con forza l’accento sulla «funzione magica e sacrale» dell’arte delle origini) a quella, fiera e feroce, del Sannio, cui Paladino per nascita appartiene.
Ed è certo grazie a questa sua connessione innata con il nostro passato più arcaico che Paladino sa raggiungere l’universalità del messaggio che fa di un artista un grande artista. Con quest’opera sono esposti altri cinque lavori di minori dimensioni, attraversati però da quell’identica tensione che conduce anch’essi (è ancora Risaliti a parlare) nello «spazio del sacro».
