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I gioielli del gioielliere

Stefano Luppi

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Oltre 600 disegni italiani del ’900 della collezione dell’imprenditore Giuseppe Rabolini sono conservati in un «museo» chiuso al pubblico ma aperto agli studiosi e ai prestiti

La madre seduta con le mani incrociate» di Boccioni del 1911, una rara «bruciatura» su carta di Jannis Kounellis, un vero e proprio diario di metà secolo di Giuseppe Capogrossi realizzato per un vecchio amore, altre straordinarie opere come le graffiature su carta assorbente «Concetto spaziale» del 1951 di Lucio Fontana e un «Senza titolo. Blu scuro» di Enrico Castellani del 1967 nel quale l’artista realizza i suoi tipici «rilievi» che paiono fuoriuscire da una calda luce solare resa attraverso uno spray giallo: queste e altre 600 opere del ’900 italiano, realizzate da 110 artisti esclusivamente su carta, cui si aggiungono acquerelli, collage, gouache e pastelli, compongono la collezione «Ramo» (si tratta di un acronimo di due cognomi), costituita ufficialmente nel corso degli ultimi tre anni per volere dell’imprenditore lombardo Giuseppe Rabolini (fondatore della nota azienda di gioielli Pomellato).

«Come quasi tutti i bambini disegnavo, spiega il collezionista. In seguito ho potuto disegnarli davvero i gioielli, continuando in questo modo a interessarmi del disegno nella pratica degli artisti. Ho ben presto maturato il desiderio di possedere un disegno e circa vent’anni fa ho cominciato a pensare di dare vita a una piccola collezione personale. Cinque anni fa poi ho avuto l’idea di una raccolta che, attraverso l’apporto storico-scientifico, avesse l’obiettivo di dimostrare tramite il disegno che nel XX secolo l’Italia da questo punto di vista non è seconda a nessuno». Rabolini, proprietario di una collezione di cui ben pochi, a parte una ristretta cerchia di amici ed esperti, fino a oggi sapeva, vede nel disegno l’atto creativo primigenio per eccellenza: «È il momento magico in cui l’artista non solo crea, ma interpreta, dà forma sia a quello che vede sia a quello che pensa. L’atto del disegnare, aggiunge, è di pari importanza rispetto allo scolpire e al dipingere, in quanto è la prima visualizzazione dell’idea artistica». Giuseppe Rabolini è uno «strano» collezionista: non espone opere sulle pareti delle sue abitazioni e i 600 pezzi della sua raccolta sono conservati in un caveau nel centro di Milano, al buio, a 16 gradi, posti in cartellette a ph neutro.

La collezione non è dunque il corrispettivo visivo del proprio ego, ma un vero e proprio museo che, anche se non diverrà pubblico nel vero senso del termine, è aperto a studiosi e in alcuni casi a prestiti per mostre in Italia (60 fogli della collezione Ramo, ad esempio, sono esposti fino al 10 luglio al Castel Sismondo nella mostra «I Marziani» nell’ambito della seconda Biennale del disegno di Rimini, Ndr), Europa e America. Il volto pubblico della collezione Ramo è quello della storica dell’arte Irina Zucca Alessandrelli, milanese, esperta di arte italiana del XX secolo e di mercato dell’arte moderna e contemporanea, laureata all’Università degli Studi di Milano e con un passato al MoMA - P.S.1. di New York e al Philadelphia Museum of Arts.

«La collezione, spiega la curatrice, segue le tracce su carta a partire dai maggiori rappresentanti delle avanguardie storiche per giungere fino agli anni Ottanta, durante i quali si esaurisce la spinta dei movimenti artistici e l’arte procede attraverso percorsi perlopiù individuali. Nel corso del tempo abbiamo cercato di acquisire non solo i capolavori da museo, pure presenti e che rendono maggiormente riconoscibile un artista, ma anche le piccole testimonianze aneddotiche, gli schizzi, gli appunti e i tentativi che hanno portato da parte del singolo artista alla nascita di un segno riconoscibile».

La collezione, ovviamente, sarà sempre identificata con chi l’ha voluta, anche se il «gusto» in questo caso non rappresenta solo le idee dell’imprenditore milanese: «Lo scopo della collezione, continua Irina Zucca, è presentare la grande importanza dell’arte italiana del secolo scorso e, allo stesso tempo, promuovere la cultura del disegno». Sulle modalità in cui avvengono le acquisizioni, precisa che «in genere tendiamo a evitare l’acquisto in asta, privilegiando l’analisi e lo studio che ci mettono in contatto con esperti, con altri collezionisti, con galleristi che hanno rappresentato l’artista in vita, con i familiari o gli artisti stessi nel caso dei contemporanei.

Per ogni acquisto, infine, l’ultima parola è sempre quella del collezionista». Per quanto riguarda i possibili sviluppi futuri, la curatrice aggiunge: «La Collezione, sino a oggi chiusa al pubblico (abbiamo pensato non fosse il caso di realizzare una vera e propria Fondazione, che avrebbe previsto anche solo per la forma giuridica un costo elevato che invece preferiamo destinare alle opere e alla loro conservazione) ha intrapreso una fitta collaborazione con molte istituzioni culturali italiane e straniere.

Abbiamo prestato a Palazzo Reale di Milano (alla rassegna “Umberto Boccioni (1882-1916). Genio e Memoria” è attualmente presente un bozzetto per il dipinto “Crepuscolo” del 1909), alla Collectorspace di Istanbul-New York, alla Fondazione Magnani Rocca di Parma, alla Fondazione Pasquinelli di Milano e al Musée de l’Orangerie a Parigi. Per il 2018 stiamo programmando una mostra internazionale in Europa e America.

Inoltre, nel 2015, nel corso di Miart, abbiamo esposto disegni di 15 autori in esclusiva per i collezionisti internazionali giunti alla fiera milanese». Ora, rallentato un po’ il lavoro di acquisizione, è il momento di mostrare la collezione. Il personale di Ramo (5 persone) conserva e restaura le opere, archivia i materiali, gestisce i prestiti (tutti i pezzi sono forniti incorniciati con vetro antiriflesso e anti Uv al 99%) e sta anche costituendo un’importante biblioteca di testi e cataloghi storici sull’arte italiana.

Stefano Luppi, 18 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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