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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliIl 27 aprile 1859 Firenze cacciava pacificamente Leopoldo II di Lorena proclamando il governo provvisorio retto da Bettino Ricasoli: ma le aspettative repubblicane e garibaldine sarebbero state deluse dal formarsi dell’Italia sotto l’egida dei Savoia, i quali decideranno di trasferire proprio a Firenze, da Torino, la capitale del regno, il 18 novembre del 1865.
Vittorio Emanuele II adatta così gli appartamenti di Palazzo Pitti in cui risiede (gli stessi ambienti nei quali ora si tiene la mostra) al suo gusto e indirizza i soggetti dei dipinti e delle sculture, che poi donerà al Palazzo.
La mostra «Firenze capitale 1865-2015. I doni e le collezioni del re», alla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti dal 19 novembre al 3 aprile e curata da Simonella Condemi, Sandro Rogari e Cosimo Ceccuti, riunisce dunque quadri e sculture che celebrano episodi storici della stirpe sabauda, ma anche la cultura medievale e rinascimentale, sia letteraria sia artistica, a rinsaldare, nella coscienza di un’Italia da poco unita, il legame con un passato illustre (il marmo di Pio Fedi tratto dall’episodio dantesco di «Nello e Pia de’ Tolomei» o «Michelangelo Buonarroti declama le sue poesie a Vittoria Colonna» di Francesco Vinea).
Ci sono anche opere di alcuni macchiaioli, artisti pur non certo favorevoli al regno, mazziniani e garibadini convinti, come i «Novellieri toscani del XIV secolo» (1860) di Vincenzo Cabianca, ispirato al Decamerone di Giovanni Boccaccio.
Interessante anche la ricostruzione del gusto piemontese e «alla francese» degli arredi, mobili e soprammobili, fatti però intagliare agli artigiani fiorentini, creando quindi uno stretto legame tra le botteghe (di falegnami, orafi ecc.), vanto della città per tradizione, e la reggia di Pitti.
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