I corpi di Alix Marie e di Paul Mpagi Sepuya

Le due personali allestite nello spazio «PHOXXI» delle Deichtorhallen, sebbene con linguaggi e media artistici differenti, hanno in comune l’oggetto e indagano i temi del genere e dell’origine

«The Goddess» (2021), di Alix Marie. © Alix Marie. Cortesia di Deichtorhallen Amburgo, PHOXXI
Francesca Petretto |  | Amburgo

Lo spazio di Deichtorhallen «PHOXXI» espone dal 25 novembre al 26 febbraio le due personali «Styx» e «Daylight Studio/Darkroom Studio», rispettivamente dell’artista francese Alix Marie (1989) e del fotografo statunitense Paul Mpagi Sepuya (1982). Entrambe le mostre, seppur con linguaggi e media artistici differenti, focalizzano l’attenzione sul corpo umano, sui temi del genere e dell’origine.

Alix Marie, scultrice, fotografa e autrice di installazioni immersive, presenta il suo ultimo lavoro «Styx», sviluppato originariamente per la Ballarat International Foto Biennale 2021: la sua è una riflessione sulla fragilità del corpo umano nel mondo contemporaneo e sulla sua rappresentazione in questo caso fotografica-sensoriale.

Stige, nel mito greco dea dell’omonimo fiume infero e madre della forza e della vittoria, viene rappresentata nell’installazione labirintica come divinità fattasi donna: nuda, inginocchiata al centro dello spazio e con lo sguardo sfrontatamente fisso sul pubblico (interpretata dall’artista-performer Nina Boukhrief), a simboleggiare la perdita e la mancanza di movimento sperimentati dall’artista durante la pandemia, mentre la sua voce suadente risuona intorno.

Paul Mpagi Sepuya espone gli ultimi scatti della serie fotografica «Daylight Studio/Darkroom Studio», incentrati sul rapporto tra artista e soggetto ritratto, spesso esplorando il nudo in relazione all’intimità della fotografia scattata nella sua camera da letto prima, in uno studio professionale poi. Il fondamento del lavoro di Sepuya è proprio la ritrattistica, ma non tradizionale: i soggetti sono catturati per frammenti, toraci, braccia, gambe, piedi, anziché nella loro interezza.

Una provocazione di cui l’artista si serve per destare desiderio in chi osserva, la voglia di ricomporre il puzzle per scoprire i suoi personaggi queer e le loro relazioni omoerotiche calate nella pregnante scena afroamericana.

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