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Veronica Rodenigo
Leggi i suoi articoliTreviso. Assurge alle cronache nazionali (cfr. su «la Repubblica» di ieri «Il museo “mostrificio” che spacca Treviso» a firma di Francesco Erbani) la questione Goldin a Santa Caterina che tanta polemica sta sollevando nella città del Sile.
L’idea del sindaco di portare una mostra del curatore trevigiano negli spazi del Civico Museo comportandone così il parziale disallestimento ha scatenato nella Marca reazioni e controffensive non immuni da strumentalizzazioni, notizie confuse e contradditorie come quella diffusa dalla stampa locale circa il nulla osta da parte della Soprintendenza ai Beni storico artistici per il progetto allestitivo. Nulla osta in realtà mai giunto perché ad oggi, nonostante il Comune abbia già dato il via allo smantellamento delle sale didattica e conferenze per trasformarle in biglietteria/bookshop e guardaroba, non c’è ancora un esecutivo da sottoporre al vaglio dell’ente di tutela.
Da parte sua, il soprintendente Fabrizio Magani, in attesa di ricevere la documentazione necessaria, raggiunto al telefono riporta la questione su di un piano museologico e museografico, ancora assente per l’intero museo. Perché in effetti nel tourbillon di conferme e smentite sembra da tempo essersi perso di vista il problema principale, non tanto riassumibile nel binomio «Goldin sì o Goldin no» bensì riguardante l’opportunità della localizzazione della mostra (su «Treviso e il mondo») e le ripercussioni su struttura museale e casse comunali.
La cronaca recente include bilanci previsionali sul possibile afflusso di pubblico, comparsate di Goldin durante una riunione del Comitato Santa Caterina Bene Comune e l’innalzamento della posta in gioco: pare che il curatore abbia inviato una lettera al sindaco tramite il suo legale in cui chiede «garanzie di un clima sereno» e una penale di tre milioni di euro «nel caso la mostra dovesse saltare a ridosso della data prevista». Una pretesa singolare in assenza di un accordo formale tra il curatore e il Consorzio turistico della Marca che, di fatto, dovrebbe essere l’ente con cui si verrebbe a stabilire la sottoscrizione.
Il sindaco si dichiara comunque ottimista, confida in un ridimensionamento delle pretese goldiniane ma in consiglio comunale manca ancora una concertazione sul tema e un chiarimento su questo non trascurabile aspetto economico.
In tutto ciò alle cronache locali sembra poco interessante riportare l’attenzione su quanto potrebbe accadere da qui a poco in museo.
Durante un nostro sopralluogo, venerdì scorso, è emerso che alla fretta di porre mano quanto prima all’avvio dei lavori corrisponde un’incertezza sconcertante.
L’articolazione del percorso è tutt’ora in fase di definizione. Abbandonata, per il mancato assenso della Soprintendenza provinciale ai beni storico architettonici, l’idea di chiudere con vetrate il chiostro piccolo del complesso (per facilitare il flusso dei visitatori), l’iter immaginato si presenta disorganico: un saliscendi tra primo piano e spazi ipogei lungo il quale il visitatore, passando tra collezione permanente e proposta temporanea, perde totalmente la percezione dell’identità museale.
Altri aspetti non trascurabili: l’adeguamento tecnico-impiantistico, pensato non per l’intera struttura ma per i soli spazi interessati dalla mostra; il problema del deposito temporaneo delle opere (quattro e cinquecentesche ma anche quelle di Arturo Martini, destinate sì al futuro Museo Bailo ma che riaprirà solo in autunno); i costi di manutenzione (sino ad ora non calcolati e che secondo le previsioni graverebbero sul Comune come pulizia, sorveglianza…); il disallestimento e il ripristino di un percorso espositivo coerente a mostra conclusa.
Il progetto ha comunque allarmato non solo il comitato trevigiano a sostegno del quale si è schierata l’Associazione Nazionale Musei Locali (Anmli) ma anche Icom italia che ha spedito una nota al sindaco Manildo cui non è ancora seguita alcuna risposta.
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Il complesso di Santa Caterina a Treviso
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