Gli autoritratti di Muholi
Opere da un progetto avviato nel 2012, dopo che l’artista aveva subito il furto di immagini in cui documentava le violenze perpetrate in Sudafrica sulla comunità Lgbtq+

Preferisce essere chiamat* con il solo cognome e non avere un’identificazione di genere: Zanele Muholi (nat* in Sudafrica nel 1972, ha studiato fotografia a Johannesburg e a Toronto) ama definirsi «a visual activist», come cita il titolo della mostra che apre a Milano, «Muholi, A Visual Activist» prodotta da 24 Ore Cultura-Gruppo 24 Ore con Sudest57 e presentata dal 31 marzo al 30 luglio da Mudec Photo, a cura di Biba Giachetti.
In mostra, oltre 60 autoritratti del progetto «Somnyama Ngonyama, Hail the Dark Lioness» (Ave Leonessa Nera), avviato nel 2012 dopo che, in una spedizione punitiva, le erano state rubate tutte le immagini non pubblicate in cui documentava le violenze perpetrate in Sudafrica sulla comunità Lgbtq+. Per Muholi fu una prova durissima, dalla quale riemerse solo quando prese a puntare l’obiettivo su di sé («Riesco a conversare con me in modi che non ho mai fatto prima, il che è un altro modo di guarire», spiega).
Con quegli autoritratti, di grande qualità artistica e di forte impatto emotivo, da cui fissa regalmente l’osservatore, la testa acconciata con maestosi copricapi, fatti in realtà di materiali comuni e casuali, Muholi ha conquistato una fama vastissima, ricevuto innumerevoli premi, esposto in musei di tutto il mondo, portando ovunque la sua fierezza e il suo messaggio di speranza nel futuro.