Georg Baselitz. Foto courtesy Fondation Beyeler

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Georg Baselitz. Foto courtesy Fondation Beyeler

Gli artisti giullari tollerano molte caste

Intervista a Georg Baselitz che compie ottant’anni alla Fondation Beyeler di Basilea

In occasione degli ottant’anni di Georg Baselitz, la Fondation Beyeler inaugura il 2018 con una retrospettiva dell’artista nato Hans-Georg Bruno Kern a Deutschbaselitz, in Sassonia. Dal 21 gennaio al 29 aprile le sale della fondazione di Riehen, alle porte di Basilea, ospitano un’ottantina di tele e dieci sculture, tra cui diversi prestiti provenienti dalle maggiori collezioni d’Europa e degli Stati Uniti, ma anche lavori mai esposti prima.

La retrospettiva presenta opere tratte dalle serie duramente condannate negli anni Sessanta: «Helden» (gli eroi che Baselitz volle ritrarre «rotti, feriti e compromessi», resti di un Paese distrutto) e «Fraktur» (frattura). Due serie per nulla benvenute in una Berlino impegnata in una disperata rinascita: le accuse di oscenità e oltraggio valsero all’autore un processo che si concluse più di un anno dopo, quando i dipinti denunciati gli vennero riconsegnati. Erano tempi in cui gli scandali non pagavano, e le opere incriminate furono vendute per l’equivalente di 250 euro l’una.

Espulso dall’Accademia di Berlino Est per «immaturità socio-politica», Baselitz sfruttò l’isolamento artistico per sviluppare un linguaggio da lui definito «brutto ed espressivo», dove la rigidità dell’ordine non è gradita. Accanto ai provocatori (e liberatori) dipinti a «testa in giù» degli anni Settanta è in mostra anche la più recente serie «Remix» iniziata nel 2007, ispirata alle opere della giovinezza e a una Germania che non esiste più.

Esposto inoltre il controverso «Modello per scultura» presentato alla Biennale di Venezia nel 1980, dove l'artista fu subito accusato di esaltare i deliri nazisti; era invece l’inizio di una lunga riflessione sulla scultura che Baselitz continua ancora oggi, nel suo studio a Imperia, dove dal 1987 produce la maggior parte delle opere.

Realizzata in collaborazione con l’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington, che la presenterà al pubblico americano da giugno a settembre, la retrospettiva è proposta in dialogo con un insieme di opere su carta (Baselitz è anche un eccellente e prolifico xilografo) esposte presso il Kunstmuseum di Basilea.

«Beato il paese che non ha bisogno di eroi», scriveva Brecht nel 1938. Se oggi Baselitz avesse vent’anni, quali sarebbero i suoi eroi feriti e compromessi?
Evidentemente Brecht non voleva vedere gli eroi vinti nella Repubblica Democratica Tedesca. Oggi non potrei immaginare quei dipinti del 1965 inseriti nel contesto attuale. Don Chisciotte vive.

Che cosa è rimasto di tutte le Germanie che lei ha conosciuto?

In Germania la cultura è ridotta a pezzi; lavoro molto volentieri in Italia.

Nel «Manifesto Pandemonico» del 1961 lei scrisse che il ruolo sociale dell’artista è di essere asociale. Si direbbe invece che nella vita abbia fatto diversamente. Lo pensa ancora o ha cambiato idea?

Ho cambiato vari modelli di riferimento ma non la mia opinione. Gli artisti giullari tollerano molte caste.

Il mondo dell’arte contemporanea di oggi sembra ormai pronto a tutto. Non le mancano mai quelle violente reazioni della critica, scioccate e un po’ bigotte?

Non posso lamentarmi della mancanza di brutte critiche, ne arrivano ancora molte.

A proposito delle sue opere più recenti parla di un «metodo nero». Si tratta di un metodo morale o estetico?

No, non c’è nessun significato morale né estetico. Mi interessa fare cose nuove: il colore è interessante, il bianco e nero è interessante, ma il nero totale lo è ancora di più, come anche il bianco puro.

Lei scolpisce il legno con ascia e motosega. Che rapporto ha con questo materiale?

Il legno è sempre stato un materiale tradizionale per la scultura, soprattutto in Germania; noi non abbiamo marmo. Scolpire il legno mi piace molto, esiste una bella linea che va da Riemenschneider a Kirchner. Credo di continuarla.

C’è un’opera che è particolarmente felice di rivedere alla Fondation Beyeler?

Più di cinquant’anni fa ho dipinto il quadro «Der Narr von San Bonifacio» («Il matto di San Bonifacio», Ndr). Lo dipinsi a Firenze nel 1965; il titolo si riferisce a un artista svizzero, Karl Stauffer-Bern. Sono molto curioso di rivederlo.

Georg Baselitz. Foto courtesy Fondation Beyeler

Bianca Bozzeda, 19 gennaio 2018 | © Riproduzione riservata

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