Veduta della mostra «Ecos», all'interno del museo. © Zabalaga Leku. San Sebastián, VEGAP, 2019. Sucesión de Eduardo Chillida y Hauser & Wirth. Foto Gonzalo Machado

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Veduta della mostra «Ecos», all'interno del museo. © Zabalaga Leku. San Sebastián, VEGAP, 2019. Sucesión de Eduardo Chillida y Hauser & Wirth. Foto Gonzalo Machado

Genius Leku

Dopo 8 anni ha riaperto l’oasi di sculture di Eduardo Chillida a Hernani

Anna Maria Farinato

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«Mio padre ha sempre pensato al Chillida Leku come a un luogo in cui tutti potessero muoversi a proprio agio nel parco, tra le sue opere, liberi di crearsi dei percorsi secondo i propri gusti e la propria sensibilità e di toccare le sculture e di entrarvi, in alcuni casi. Per lui era importante che le persone le toccassero, per sentire come mutano per effetto degli agenti atmosferici, dell’aria, del sole e della pioggia atlantica»: così Luis Chillida ci ha guidato tra le monumentali sculture del padre Eduardo, all’anteprima della riapertura, il 17 aprile dopo 8 anni, di questo vero luogo del cuore («leku», in euskera, la lingua dei Paesi Baschi, è, appunto, «luogo») cui l’artista di San Sebastián, scomparso settantottenne nel 2002, aveva destinato la propria collezione privata.

Dal gennaio 2011 il parco di sculture e il museo che accoglie il corpus più consistente di opere di Chillida, ospitato in un antico casale al cui restauro Chillida aveva dedicato la stessa lenta e meticolosa cura riservata alla sua arte, aveva dovuto chiudere ufficialmente le porte, nonostante i circa 85mila visitatori all’anno. La crisi globale, certo, ma anche disaccordi con le istituzioni basche e una gestione troppo onerosa, che, ricorda ancora Luis, ricadeva per il 30% sulle spalle della famiglia: «Alla fine abbiamo dovuto chiudere. Altrimenti saremmo stati costretti a venderci le opere di mio padre. Anche se poi in realtà però non abbiamo mai chiuso del tutto. Chillida Leku era visitabile su appuntamento».

Per il fine settimana preinaugurale, sono stati sorteggiati 1.200 ingressi: un’opportunità che è stata presa d’assalto, tanto che le richieste arrivate sono state oltre 12mila.

Un casale del Cinquecento
Tra Eduardo Chillida, la moglie Pilar Belzunce e il caserío Zabalaga, una tradizionale costruzione rurale basca del XVI secolo, a Hernani, a poca distanza da San Sebastián, circondata da 12 ettari di parco era stato un «flechazo», un colpo di fulmine: quel casale semidiroccato, divenuto rifugio per le pecore, lo scultore aveva ravvisato il posto ideale da tanto tempo cercato nella sua terra d’origine, cui era legatissimo. Qui voleva collocare la propria collezione privata e realizzare la vagheggiata fusione tra arte, natura e ambiente. Era il 1982.

Il «Chillida Leku» avrebbe aperto nel 2000. Del restauro si occupò l’architetto Joaquín Montero, grande amico dell’artista, che interpretando i desideri di Chillida (lui stesso con studi di architettura, mai sfociati in una laurea) aveva mantenuto inalterate le caratteristiche della costruzione cinquecentesca: pareti in pietra e travi di rovere a far da sfondo a un centinaio di opere di piccolo formato, disegni e incisioni, le prime sculture in ferro, i primi torsi in pietra, gli alabastri, le forme in granito e in acciaio, le «lurras», le terrecotte eseguite dall'artista nell'arco di mezzo secolo, mentre una quarantina di sculture, molte di dimensioni monumentali e del peso di svariate tonnellate, punteggiano il parco, vastissimo museo en plein air. Per ognuna Chillida aveva previsto l’ubicazione esatta.

L’architetto invisibile
Oggi il Chillida Leku riapre, senza grandi stravolgimenti, grazie alla generale buona salute delle strutture, ma con diverse migliorie. A cominciare dalla gestione, che vede ora al fianco degli eredi Chillida (otto figli, decine di nipoti) i supergalleristi Hauser & Wirth. I dettagli economici dell’accordo, che risale al 2017, non si conoscono, ma sarà la galleria-multinazionale a rappresentare la «Sucesión Chillida».

Sul piano dei servizi al pubblico, «mancavano molte cose», ammette Luis Chillida. «La riapertura mostra un Chillida Leku del XXI secolo. Continua a essere lo stesso, a mantenere la sua essenza, ma in meglio». C’è anche, e non è un dettaglio da poco in un posto «un po’ complicato da raggiungere», una fermata d’autobus proprio di fronte all’entrata.

Poi il blocco di servizi, all’ingresso del «Leku»: il parcheggio ripensato e circondato dalle bordure di Piet Oudolf, l’architetto del paesaggio che è intervenuto anche nel parco, un centro per i visitatori, con guardaroba e toilette tappezzate di manifesti delle mostre di Chillida, un bookshop con una nuova linea di oggetti, una luminosa caffetteria sostenibile («Lurra»), ricavata là dove c’era un auditorium: alle pareti fotografie dell’artista all’opera, vista sul parco e un dehors. L’accesso a internet. L’offerta di visite guidate multilingue (anche in italiano). Per non deturpare il luogo la segnaletica è stata ridotta al minimo. Una ventina di sculture all’aperto e dieci lavori custoditi nel museo sono stati muniti di codici Qr, dai quali i visitatori potranno trarre maggiori informazioni.

Nel caserío Zabalaga, cuore del «Leku», l’architetto Luis Laplace ha adottato un approccio rispettoso di quanto lo scultore basco aveva concepito nei minimi dettagli e realizzato. «All’inizio, ricorda, gli eredi erano un po’ timorosi, non mi conoscevano»: a propiziare l’incontro, a Mallorca, tra la famiglia dello scultore e l’architetto argentino con studio a Parigi in società con Christopher Comoy erano stati proprio Hauser & Wirth, per i quali Laplace ha realizzato la galleria a Bruton, nel Somerset.

«Abbiamo lavorato molto, anche se forse non si noterà», sottolinea, e sorridendo ricorda che c’è chi lo ha definito «l’architetto invisibile», proprio per questa sua impostazione che prevede il mettersi in ascolto dei luoghi, rispettandone l’identità. «Si vede che questo posto era stato concepito da un architetto ed è stato bello riconoscersi nel suo approccio», osserva. «Era importante preservare non soltanto l’opera ma anche lo spirito con cui è stata realizzata. Per Chillida l’arte non era intoccabile. I materiali erano importanti. La fisicità era importante. Al contempo però era anche molto spirituale, lo si avverte dalla sensazione di quiete che promana dalle sue sculture. Voleva che il visitatore le “sentisse”, sia emotivamente sia fisicamente. Le si vorrebbe quasi abbracciare, così come quando ci si trova davanti a un albero maestoso viene voglia di stringerlo e di sentirne l’energia».

Per rispettare l’equilibrio tra intimità e interazione, l’armonia quasi giapponese dello spazio, «siamo intervenuti soprattutto sull’illuminazione, sostituendo anche le vecchie vetrate delle coperture che sottraevano luce agli spazi espositivi. Chillida prediligeva la luce naturale, proveniente da un lucernario e da vetrate su due lati del “caserío”. Abbiamo optato, dopo innumerevoli prove, per una luce hi-tech che si fonde quasi impercettibilmente con quella naturale. Il grosso dei lavori ha poi riguardato l’isolamento di pavimenti e coperture e il collegamento tra interno ed esterno, migliorando l’accesso per le persone con mobilità ridotta». Tutti i lavori hanno coinvolto maestranze locali e i materiali sono stati reperiti sul territorio, come la pietra con cui sono state realizzate le panchine all’esterno. Alla domanda su quale sia un modello museale di riferimento, Laplace non ha dubbi: «La Fondation Beyeler a Riehen, progettata da Renzo Piano».

Fare rete
Il Chillida Leku, dallo scorso ottobre, ha anche una direttrice: Mireia Massagué, che ha lasciato a Barcellona il Gaudí Exhibition Center per stabilirsi a San Sebastián. Complice la crescita esponenziale dell’offerta museale dell’«asse cantabrico» (Museo Guggenheim e Museo de Bellas Artes a Bilbao, Centro Botín, su progetto di Renzo Piano, e il nascente Centro Asociado Museo Reina Sofía-Archivo Lafuente, su progetto di David Chipperfield, a Santander; Museo Balenciaga a San Sebastián), si punta a fare rete con le altre istituzioni culturali del territorio.

«Stiamo mettendo a punto un programma culturale che coinvolga anche altre realtà del territorio. Per esempio, sarebbe bellissimo poter ospitare nel parco delle proiezioni all’aperto in occasione del Festival del Cinema di San Sebastián». Il Chillida Leku ha anche avviato la pubblicazione miniguide tascabili, la prima delle quali è dedicata all’opera «Peine del viento». Intanto, fino all’autunno, il caserío Zabalaga ospita la mostra «Ecos», curata da Ignacio Chillida, figlio dell’artista, che ne abbraccia tutta l’opera dagli anni Quaranta alla morte, con lavori in prestito da varie istituzioni, molte delle quali esposte di rado.

Veduta della mostra «Ecos», all'interno del museo. © Zabalaga Leku. San Sebastián, VEGAP, 2019. Sucesión de Eduardo Chillida y Hauser & Wirth. Foto Gonzalo Machado

Anna Maria Farinato, 17 aprile 2019 | © Riproduzione riservata

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