Gemito ritorna a Napoli

A Capodimonte una mostra sui suoi due grandi amori: Mathilde Duffaud e Anna Cutolo

Vincenzo Gemito, «Autoritratto», 1915. Argilla, 12x10,5 cm. Palazzo Zevallos Stigliano, Banca Intesa Napoli
Jean-Loup Champion |

La grande mostra dedicata allo scultore Vincenzo Gemito che si apre a Napoli è un progetto di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte e di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais di Parigi, dove si è svolta la prima esposizione dal titolo «Gemito. Le sculpteur de l'âme napolitaine» (dal 15 ottobre 2019 al 26 gennaio 2020).

Il successo riscosso a Parigi ha restituito
il grande artista italiano di fine Ottocento alla sua legittima fama internazionale e alla sua incomparabile abilità nel captare le anime, una delle maggiori sfide del ritratto, che va ben al di là della somiglianza. Questa seconda esposizione a Napoli, nella città natale dell’artista, dal titolo «Gemito.

Dalla scultura al disegno» (10 settembre-15 novembre), a cura di Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano, invece, si concentrerà sui due grandi amori della vita dell’artista, che sono stati anche le sue muse: la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo.

Jean-Loup Champion ci accompagna in una visita virtuale alla mostra.


Fino a due anni fa, Vincenzo Gemito (1852-1929), scultore napoletano, era un artista poco conosciuto in Italia; noto soprattutto a Napoli, ma pressoché ignorato nel resto del mondo. Grazie alla mostra monografica organizzata a Parigi al Petit Palais l’anno scorso, è stato ora restituito all’artista il posto di rilievo che gli spetta nell'arte europea della fine dell’Ottocento.

Il suo ritorno a Napoli, a Capodimonte, avviene con la seconda tappa della mostra: una esposizione vicina e allo stesso tempo diversa dalla mostra di Parigi. Gemito non si racconta al pubblico napoletano come lo si è narrato al pubblico parigino; anche se già Parigi, nel 1878, con la Mostra Universale, aveva rivelato al mondo il suo straordinario talento, che presentò al mondo il realismo della giovane scuola napoletana. A Napoli l'accento è messo invece su due donne che furono gli amori della sua vita, le sue muse, entrambe destinate a morire giovani: la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo.

La mostra che si apre al pubblico oggi 10 settembre, intitolata «Gemito dalla scultura al disegno», è un percorso che si svolge in nove sezioni, in tre grandi sale adiacenti alla Collezione Farnese, al primo piano del museo di Capodimonte. L’allestimento di Roberto Cremascoli evoca lo studio di un artista in cui si accumulano le opere di una vita, poste a confronto con quelle dei suoi contemporanei, degli amici e di chi lo guardava: i dipinti di Antonio Mancini, Francesco Paolo Michetti, Giuseppe De Nittis e le sculture di Achille D'Orsi, Ettore Ximenes, Edgar Degas.

Vincenzo Gemito, dalla vita tormentatissima, «esposto» appena nato presso la pia istituzione dell'Annunziata nel 1852, il ragazzo di strada povero, lacero e affamato, alla fine della sua vita divenne di casa nella Reggia di Capodimonte. Il re Umberto I, che molto lo stimava, compra infatti le sue prime sculture e il museo oggi ospita la più importante collezione al mondo di sue opere e disegni.

A soli sedici anni Gemito realizza Il Giocatore, subito acquistato per la Reggia di Capodimonte: l’opera si vede in mostra con nove celebri busti di «scugnizzi» in terracotta, eseguiti pochi anni dopo, quando, tra il 1870 e il 1872, lavorava con altri giovani ragazzi artisti nel convento abbandonato di Sant'Andrea delle Donne. All’età di ventuno anni, incontra Verdi, venuto a Napoli per l'esecuzione di Don Carlo e Aida: da allora inizia la serie dei grandi busti d'artista, con un trattamento audace e nuovo che gli porterà grande fama. La mostra espone i busti del maestro Morelli, dello spagnolo Fortuny, dell'amico Michetti e infine quello di Giovanni Boldini, realizzato durante il viaggio a Parigi, dove conobbe il pittore.

Nella seconda sala ci si sposta a Parigi, allora capitale delle arti: Gemito vi giunge all'età di venticinque anni per «guadagnare denaro e fare conoscenze», come scrive alla madre. Al Salon del 1877, e, per una seconda volta, all'Esposizione Universale del 1878, espose il bronzo del «Pescatore», che scandalizzò la critica, manifesto del realismo della scuola napoletana rafforzato dalla presenza de «I Parassiti» dell'amico Achille D'Orsi (anch’esso in mostra). Per la prima volta viene valorizzato il gesso originale dell’opera, dileggiato dalla critica coeva che lo aveva soprannominato «il cretino» e il «ragazzino orribile»; la scultura suscitò scandalo; ma l’opera non sfuggì all’occhio dei grandi maestri della modernità parigina: Degas, un altro napoletano a Parigi, e Rodin al quale Gemito scrisse diverse volte. Sempre nella mostra si vedono opere dell’amico Antonio Mancini, di Giuseppe De Nittis, di Ernest Meissonier, l’artista che regnava sulla scena parigina dell'epoca e che divenne amico e protettore del giovane e talentuoso napoletano.

Commovente la sezione dedicata al suo primo grande amore (la francese Mathilde Duffaud), con molti disegni e uno splendido busto in terracotta, inedito, eseguito quando Gemito la conobbe nel 1872.  Guardandolo si pensa a Medardo Rosso, anch’egli presente in mostra con un bustino ritratto. Mathilde morì nel 1881 quando Gemito tornò a Napoli, e lo shock provocò l'inizio della follia, che lo avrebbe confinato nella sua casa per vent'anni. La crisi si accentuò nelle successive commissioni, lontane della sua sensibilità: la monumentale statua di marmo di Carlo V per la facciata del Palazzo Reale, e il pletorico centrotavola, mai finito, visibile nelle sale dell’Ottocento privato a Capodimonte.

Nel 1882 Gemito incontra la modella Anna Cutolo, che sposa, e alla quale è dedicata una sezione importante della mostra. La follia non gli impedisce di lavorare; riduce i suoi soggetti e le sue ambizioni, senza mai perdere la sua abilità.

Negli anni Venti torna al tema dei giovani pescatori, ma da una prospettiva quasi manierista. La mostra riapre il dibattito sulla sua produzione artistica degli ultimi trent’anni di vita e la riabilita; il disegno, che diventa monumentale, scultoreo, all'avanguardia, come dimostrano gli straordinari ritratti dei bambini Bertolini del museo di Filadelfia, che preannunciano De Chirico o Balthus.

In questi stessi anni Gemito torna sempre più spesso nei musei, sia a Napoli che a Roma, e riflette sull'antico con cui voleva sempre misurarsi.
Diversi splendidi esempi concludono la mostra, un Narciso di bronzo esposto accanto all'antico modello di Pompei, il busto del Filosofo, ispirato tanto all'antico che al padre adottivo Masto Ciccio, e i numerosi ritratti di Alessandro Magno.

Due pezzi famosi chiudono l’esposizione: il medaglione d'argento con la Medusa del Getty Museum di Los Angeles, e infine la nuova e importante acquisizione del Museo di Capodimonte: la bellissima Coppaflora in bronzo argentato, che si aggiunge grazie agli sponsor napoletani alla più grande collezione al mondo di opere di Gemito.

© Riproduzione riservata Ritratto di Anna Gemito, di Vincenzo Gemito «Pastore degli Abruzzi», di Vincenzo Gemito Vincenzo Gemito, «Donna con scialle», 1921. Gouache su carta Disegno, 71x102 cm. Collezione privata «Busto di Anna» (particolare), di Vincenzo Gemito Vincenzo Gemito con il busto di Anna
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