Francesco Tiradritti
Leggi i suoi articoliLincoln (Gran Bretagna). Quest’anno ricorrono i novantacinque anni della ritrovamento della Tomba di Tutankhamon. L’eccezionale scoperta non condusse soltanto a rivedere numerose teorie sulla storia dell’antico Egitto, ma portò a una vera e propria rivoluzione di costume. L’impresa archeologica finanziata da Lord Carnarvon può infatti essere considerata il primo evento mediatico della storia e tenne banco per mesi sui mezzi di informazione di tutto il mondo. Lo scopritore Howard Carter cavalcò l’onda mediatica per finirne poi sommerso quando il clamore scatenò la cupidigia e l’invidia dei molti. L’estrema attenzione suscitata e forse anche la speranza di rimanere sotto la luce dei riflettori più a lungo possibile spinse Carter a una maggiore accuratezza nello scavo e nella documentazione dei suoi vari momenti. In questo trovò un apporto fondamentale nell’opera del fotografo inglese Harry Burton (1879-1940) che lavorava all’epoca con la Missione Archeologica del Metropolitan Museum of New York. Suoi sono gli scatti che hanno trasformato la scoperta della tomba di Tutankhamon in un’icona collettiva.
La mostra «Photographing Tutankhamon» che apre oggi alla Collection di Lincoln (Regno Unito) prende spunto proprio dalle immagini di Burton, originario della non lontana Stamford. L’evento si pone come finalità di indagare il significato che ebbe la fotografia per l’archeologia, soprattutto in Egitto e Medio Oriente, agli inizi del secolo scorso. Curata dall’egittologa americana Christina Riggs dell’University of East Anglia è il risultato di un’accurata analisi dei 1.800 negativi in lastre di vetro dell’archivio Carter, conservati al Griffith Institute di Oxford, e dei 1.400 che si trovano invece al Metropolitan Museum di New York.
La mostra chiuderà a gennaio per riaprire nel giugno 2018 presso il Museo di Archeologia e Antropologia di Cambridge.
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