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Fluxus malinconico

Chiara Coronelli

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Ogni immagine di Elina Brotherus (1972) è percorsa dalla luce limpida e malinconica della sua terra, la Finlandia, e dalla sua figura solitaria, ripresa con la pratica dell’autoritratto performativo. Con questi mezzi l’artista finlandese, esponente della scuola di Helsinki, racconta la fragilità umana, il senso della perdita, il rapporto dell’individuo con lo spazio, il paesaggio come riflesso della propria interiorità e il dialogo tra fotografia e pittura classica.

«Per oltre vent’anni ho usato il mio corpo nelle opere, ma a un certo punto sono arrivata a una specie di vicolo cieco. Avevo la macchina fotografica montata, la luce era perfetta, ma non sapevo più che cosa fare di fronte all’obiettivo», spiega. Una crisi superata grazie all’incontro con l’arte di Fluxus, che la folgora per la libertà creativa e il senso del gioco. Sulle serie realizzate da quel momento, il 2016, si concentra la personale «Elina Brotherus. Why Not?», al Weserburg Museum für moderne Kunst fino al 2 febbraio. Curata da Ingo Clauß, espone quaranta fotografie e due video ispirati alle azioni di Fluxus e ad altri artisti.

Dall’omaggio alle liste di spunti che John Baldessari proponeva agli studenti (nella foto, «Portrait Series. Gelbe Musik with Sunflowers», 2016, dalla serie «The Baldessari Assignments, Art’Us Collectors’ Collective») alle «One Minute Sculptures» con Erwin Wurm, alle reinterpretazioni di Francesca Woodman e delle modelle di Araki. Al centro della rassegna la serie «Sebaldiana. Memento mori», avviata nel 2019 in cerca dei luoghi percorsi da Winfried Georg Sebald nei suoi scritti sulla Corsica (la foresta di Aitone, l’hotel di Piana, il profilo del massiccio di Bavella): tutti spazi silenziosi dove continua a fotografarsi.

Chiara Coronelli, 15 novembre 2020 | © Riproduzione riservata

Fluxus malinconico | Chiara Coronelli

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