Firenze elitaria sorvegliata speciale

In una città che rischia di «perdere l’anima», il caso più recente che scalda il dibattito è quello dell’ex caserma Vittorio Veneto in Costa san Giorgio dove privati progettano un albergo di lusso

La Chiesa di San Giorgio alla Costa di Firenza
Laura Lombardi |  | Firenze

Durante la pandemia si era tanto parlato di «turismo sostenibile» nelle città d’arte. Non pare il caso di Firenze, al centro di un dibattito che varca i confini urbani. Firenze va via via popolandosi di luoghi di lusso di proprietà perlopiù straniera: l’obiettivo dichiarato dai promotori è di ridurre il turismo mordi e fuggi a favore di un turismo «d’élite», clienti quindi facoltosi che porterebbero denaro nelle casse del Comune con potenziali benefici per i cittadini.

A quale prezzo, però? E soprattutto: se Firenze si snatura e diventa sempre più «parco giochi» senz’anima, avrà ancora attrattiva per il mondo della cultura e del turismo internazionale? Sarà ancora un luogo vivibile per chi vi abita? Anche l’Unesco lancia l’allarme e ritiene Firenze sorvegliata speciale, elencando tra i rischi quello del cambio di proprietà e destinazione d’uso di complessi monumentali.

Toccare l’argomento è assai delicato e la questione è al centro di un dibattito che vede la Giunta del sindaco Dario Nardella opposta a residenti, intellettuali, storici dell’arte, architetti e urbanisti, riuniti in associazioni (tra cui l’Idra) e esponenti del partito «Sinistra Progetto Comune».

A scatenare la bagarre è la vendita progressiva di edifici del Demanio dello Stato o di FS Sistemi Urbani, prima occupati da caserme o lasciati in rovina, a società private per la realizzazione di complessi immobiliari di lusso. Pensiamo all’ex Manifattura Tabacchi (per qualche tempo lasciata in uso alla città ma destinata a appartamenti di lusso), alle ex Officine Grandi Riparazioni al Parco delle Cascine, allontanando a Sesto un pezzo di Ateneo, all’ex caserma Lupi di Toscana e, ora, all’ex caserma Vittorio Veneto in Costa san Giorgio.

È su quest’ultima che si va concentrando l’attenzione: la vicenda, iniziata vent’anni fa, riguarda la destinazione degli spazi dell’ex caserma, situata a metà della via che salendo da Ponte Vecchio arriva a Forte Belvedere, confinando con il Giardino di Boboli. In quell’area molto ampia in origine erano gli ex conventi di San Giorgio dello Spirito Santo e di San Girolamo e San Francesco, ma dal 1866 sede di caserme, poi di Scuola di Sanità Militare fino all’abbandono nel 1998.

Nel marzo 2002 l’allora sindaco Leonardo Domenici firma il protocollo d’intesa per la dismissione della Caserma: all’epoca al governo c’è Silvio Berlusconi e la richiesta formulata con la Giunta comunale insieme all’allora soprintendente regionale Mario Lolli Ghetti di lasciare quegli spazi a destinazione pubblica (biblioteche, aule universitarie o altri luoghi di pubblico interesse...) non viene accolta.

Si giunge così all’alienazione dell’ex caserma: nel 2014 la acquista il Fondo Investimenti per la Valorizzazione (FIV) dal Demanio dello Stato, per poi passare nel 2015 alla Soc. Ponte Vecchio Spa, la quale avvia una procedura concorsuale finalizzata ad acquisire tre concept urbanistici.

E si arriva all’ oggi, quando la Giunta comunale accorda l’opportunità al nuovo proprietario, la famiglia argentina Lowenstein, di realizzare un albergo di lusso con 135 camere e 250 posti letto, con piscine, spa e tutto quanto un resort di lusso può vantare. Un progetto che comporta, come dai piani presentati, frammentazione degli spazi, alterazione delle strutture architettoniche (proprio in un Comune invece rigorosissimo nella vigilanza in centro storico, anche in edifici non vincolati) e la realizzazione di un grande parcheggio sotterraneo che rischia di compromettere la stabilità degli edifici e la continuità della falda che alimenta il giardino di Boboli.

È «caduta» per ora l’ipotesi di una cremagliera: l’infrastruttura avrebbe condotto i clienti da ponte Vecchio al resort ma, secondo il Comune, avrebbe anche facilitato l’accesso di cittadini e turisti a Forte Belvedere. Le caratteristiche idrogeologiche della collina hanno favorito nei secoli ripetuti smottamenti: non ultimo quello del 2016 quando auto parcheggiate si inabissarono nel sottostante Lungarno. Già nel 1547, d’altra parte, Cosimo I de’ Medici aveva emanato un editto sull’inedificabilità dell’area, come ricorda l’iscrizione sulla lapide di via dei Bardi, su quella Costa detta un tempo Costa delle Rovinate.

Ma in che modo il Comune può ritenersi colpevole? Nell’«Appello per l’azzeramento delle proposte di delibera della Giunta Comunale di Firenze e per l’attivazione di una nuova procedura finalizzata al restauro degli ex Conventi, poi scuola Militare in Costa San Giorgio» promosso dall’Associazione Idra firmato da molte personalità del mondo della cultura, docenti universitari, politici, Italia Nostra, si legge che, per stabilire la destinazione urbanistica, è stata adottata una proceduta «impropria» nella quale il Comune ha di fatto «rinunciato al compito di predisporre uno strumento attuativo di iniziativa pubblica». L’appello è di «revocare il procedimento in atto prima della sua decadenza e di attivare il processo di partecipazione finora respinto nonostante l’assenso della Regione».

L’attuale sindaco Dario Nardella, dopo aver ribadito la sua impossibilità a opporsi a una vendita di proprietà del Demanio dello Stato, ha demandato tutto all’assessora all’Urbanistica Cecilia Del Re, la quale il 7 dicembre scorso ha ricostruito l’iter della vicenda in un acceso Consiglio di quartiere aperto ai cittadini, con un enorme schieramento di forze dell’ordine e agenti in borghese, in cui sono intervenuti figure che da anni si battono per questa causa, tra cui Pancho Pardi, Tomaso Montanari, Antonio Fiorentino, Roberto Budini Gattai.

In quell’occasione Del Re, non senza un certo imbarazzo, ma cercando di convincere il pubblico che qualcosa di buono in fondo c’è, ha ribadito che siamo ancora allo stato di «pianificazione». Antonio Paolucci afferma che «la Soprintendenza ha ora un grande potere di interdizione» («Corriere Fiorentino», 10 dicembre). Andrea Pessina, attuale soprintendente, conferma estremo rigore e il divieto di ogni trasformazione che snaturi l’immobile.

Tuttavia non è potere della Soprintendenza mutare l’86% destinato a uso privato, mentre il restante è lasciato fruire al pubblico pochi giorni all’anno per visitare i chiostri affrescati dalla scuola del Verrocchio, con un lunettone affrescato da Bicci di Lorenzo, e gli spazi dove saranno allestite, ci rassicura Del Re, iniziative culturali. Ricordando che comunque prima c’erano le caserme, quindi questi stessi luoghi erano già allora invisibili. E le «mani legate» sono l’alibi ricorrente.

Paolucci ammette che, fin dall’inizio, nel 2002, avrebbe dovuto essere esercitato il diritto di prelazione. È quel che afferma Tomaso Montanari che contesta la dissennata stagione di alienazione di spazio pubblico nell’«assenza totale di progetto». Il Comune avrebbe potuto intervenire in tanti modi, fin da quello «più radicale nella prelazione dei beni culturali, un tentativo che avrebbe creato un caso nazionale», sostiene Montanari, ribadendo qualcosa che gli è già valso la richiesta dei danni da parte della Giunta comunale: «Firenze è ormai una città all’incanto che cammina a passi veloci verso la situazione di Venezia: la sparizione dello spazio pubblico, a partire da quello pregiato, per fiorentini ridotti a turisti in condizioni di supplici in casa loro, in uno spazio non serve a una comunità ma al mercato del profitto».

Un peso notevole nel caso Costa san Giorgio lo ha avuto padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato, figura assai nota anche al mondo della cultura, che è sceso in campo per ricordare come sia stato tradito lo spirito che animava la Firenze del sindaco Giorgio La Pira: «Il bivio di fronte al quale tutta Firenze si può interrogare circa il compimento del suo destino urbano, ha dichiarato, è tra scenografia di alberghi esclusivi o tessuto vitale e organico per una socialità di partecipazione attiva». Quale sia la via da imboccare sembra una decisione ormai certa.

Infatti, nonostante l’«Appello» citato sopra, gli otto emendamenti presentati in Comune il 14 dicembre da Antonella Bundu e Dmitrij Palagi per «Sinistra Progetto Comune» sono stati bocciati dalla giunta Nardella. Tra questi vi era la richiesta di maggior accesso alla struttura, la revisione del mix funzionale, la certificazione energetica, il definitivo divieto alla cremagliera, indagini sul tunnel previsto per raggiungere il parcheggio sotterraneo e infine la proposta un «Piano Particolareggiato» al posto di quello «Unitario Convenzionato». Così la battaglia di coloro che sono stati definiti i «professori del No» è stata giudicata una forma di «ostruzionismo» a un avvenire di Firenze nel segno del lusso.

Intanto anche Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, ha appena dichiarato di voler avere chiarimenti in merito agli scavi sotterranei prossimi alla falda acquifera di Boboli: «Lo chiediamo come vicini di casa così come la Soprintendenza che ha una responsabilità diretta sul progetto che in base alla variante dovrà esser presentato». Nel Consiglio aperto alla cittadinanza del 7 dicembre l’assessore Del Re aveva sostenuto di aver invitato gli Uffizi alla Conferenza dei servizi: Schmidt nega, il Comune afferma di aver la prova di una Pec. Il mistero si infittisce.

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