Quando nel 1950 arriva a Parigi, Ed Van der Elsken ha 25 anni. Alle spalle qualche collaborazione con studi fotografici nella sua Amsterdam e un corso di fotografia per corrispondenza, ma soprattutto negli occhi il Naked City di Weegee. È nella capitale francese del dopoguerra che l’obiettivo diventa parte di sé per accompagnarlo nel ritorno ad Amsterdam, poi a Hong Kong e Tokyo e nei molti viaggi tra Stati Uniti, Giappone e Sudafrica, dove lo porteranno i suoi reportage.

Lo Stedelijk Museum dedica un’ampia retrospettiva all’opera fotografica e filmica di un autore considerato il più grande fotografo olandese del Novecento. Intitolata «Ed van der Elsken. Camera in Love» e curata da Hripsimé Visser, la mostra presenta più di 200 immagini a colori e in bianco e nero, oltre a diaproiezioni, frammenti di film, le maquette dei libri con i provini a contatto e gli schizzi che permettono di ripercorrerne l’ideazione. Si vuole ribadire l’unità creativa di una ricerca caratterizzata dal dialogo continuo tra l’immagine fissa e quella in movimento, come se i suoi libri si riversassero nei suoi film e viceversa. Lo Stedelijk, che vanta la più ricca collezione di stampe di Van der Elsken, ha sostenuto il suo lavoro fin dal 1966, quando ne ha allestito la prima personale promossa da un’istituzione, anche se lui aveva già raggiunto la fama nel 1956 con la pubblicazione di Love on the Left Bank.

L’amore è quello tra gli amanti, per le donne, per Parigi in fermento, per un tempo di cui è protagonista e narratore, per l’essere al mondo e per una fotografia che rifiuta i confini tra vita e arte. È questo che torna in tutta la sua produzione. Dall’Africa Centrale di Bagara alla musica di Jazz, dai viaggi di Sweet Life agli anni Settanta a colori di Eye Love You, dalla dichiarazione d’amore per la città natale di Amsterdam fino a Discovering Japan; così come nelle molte pellicole girate già a partire dal 1955, fino al saluto di «Bye» del 1990, straziante documentario sulla malattia che lo uccide in dicembre.