Graciela Iturbide ««Mujer zapoteca, Tonalá, Oaxaca» (1974)

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Graciela Iturbide ««Mujer zapoteca, Tonalá, Oaxaca» (1974)

Duecento scatti di Graciela Iturbide

Alla Fondation Cartier gli scatti in bianco e nero, tra espressione poetica e volontà di documentare, della più famosa fotografa messicana

Graciela Iturbide ha aperto alla Fondation Cartier le porte del suo studio a Città del Messico, un palazzo di mattoni rossi al 37 di calle Heliotropo, nel quartiere di Coyoacán, che ha fatto progettare nel 2016 dal figlio architetto Mauricio Rocha. Lo stesso Rocha ha curato la mostra, dal titolo «Heliotropo 37», a Parigi fino al 29 maggio.

La Fondation Cartier di recente ha accolto un’ampia retrospettiva della brasiliana Claudia Andujar e già nel 2013 aveva allestito «America Latina 1960-2013», mostrando la peculiarità della scena fotografica di questa regione del mondo. Graciela Iturbide, classe 1942, ebbe la sua iniziazione fotografica negli anni ’70 al fianco di Manuel Alvarez Bravo (1902-2002), che seguì nei suoi viaggi, e di cui condivide la sensibilità e l’approccio umanista.

Sono esposti più di 200 scatti, tra cui serie emblematiche, in bianco e nero, sempre al confine tra espressione poetica e volontà di documentare; i ritratti degli indiani Seri del deserto di Sonora (del 1978), delle donne di Juchitán (1979-89) e dei cholos, le gang di giovani messicani a Los Angeles (1986-89). In mostra anche lavori recenti, a colori, dove la figura umana perlopiù scompare a favore dei vegetali, come in «Naturata» (1996-2004), serie realizzata tra i cactus del giardino botanico dello Oaxaca.

Graciela Iturbide ««Mujer zapoteca, Tonalá, Oaxaca» (1974)

Luana De Micco, 15 aprile 2022 | © Riproduzione riservata

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Duecento scatti di Graciela Iturbide | Luana De Micco

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