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Dove gli antichi Egizi dialogano con Fontana

Ai Parcours des Mondes tentativo di «matrimonio» tra arte etnografica e arte contemporanea. Americani presenti, gli africani comprano

Antonio Aimi

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Probabilmente l’edizione 2017 dei Parcours des Mondes (12-17 settembre) sarà ricordata per il definitivo sdoganamento del rapporto tra arte contemporanea e arte «altra». Segnali del dialogo tra  queste due correnti erano già presenti da tempo, dato che già nel 2014 avevo segnalato su queste pagine che alcune gallerie vendevano opere di giovani artisti africani che, senza cercare di imitare gli stilemi dei nonni, manifestavano la stessa creatività.

Tuttavia lo sdoganamento di quest’anno è ben diverso, perché il dialogo non si è limitato alle due gallerie che di solito presentano gli artisti africani contemporanei, ma si è esteso orizzontalmente a un numero notevole di espositori e ha avuto l’onore della mostra «The Lion and the Jewel», che, elemento di grande rilievo, era curata da Javier Peres, presidente d’onore dell’edizione 2017.

In questa esposizione, che era un po’ il biglietto da visita «ufficiale» dei Parcours, una ventina di opere della Nigeria si sono confrontate con tre quadri della collezione di arte contemporanea dello stesso Peres. Ma è altrettanto significativo che una mostra analoga sia nata nella galleria di Samantha Sellem, dove i reperti archeologici dell’antico Egitto della Galleria Ibis hanno dialogato con quattro opere di Fontana, Picasso, Morellet e Léger, che la gallerista parigina aveva lasciato esposte, come ha dichiarato al Giornale dell’Arte, proprio «per dare una visione globale della creatività artistica».

Come sempre, durante la manifestazione è stato possibile ammirare ed eventualmente comprare opere di straordinaria qualità, che potrebbero essere esposte nei più importanti musei del mondo. Anche se fare un bilancio dei Parcours è molto complicato, dai galleristi con cui ho parlato emerge che il numero dei visitatori stranieri, soprattutto di quelli statunitensi, è nettamente aumentato (anche perché l’edizione del 2016 era stata fortemente penalizzata dall’attentato di Nizza avvenuto solo due mesi prima) e che questo fatto ha portato a risultati migliori di quelli dell’anno precedente.

Non potendo prendere in esame tutti i pezzi e le mostre tematiche, mi limito a segnalare che un’intera collezione di pettini è stata venduta dal gallerista belga (di Ixelles) Didier Claes a un acquirente africano per 200-250mila euro. E qui è opportuno ricordare che il ruolo attivo di alcuni Stati dell’Africa sul piano del collezionismo è il vero segno dei tempi.

I due galleristi italiani presenti, come sempre, hanno offerto opere con un ottimo rapporto qualità/prezzo. Da Dalton Somaré, ad esempio, era possibile comprare una maternità Kongo a circa 50mila euro o un reliquiario Kota a 25mila, mentre i pezzi meno costosi erano compresi tra i 600 e i 5mila euro. Da Dandrieu Giovagnoni, invece, il ventaglio dei prezzi andava dai 4mila euro di alcune tipologie Dagari agli oltre 50mila euro di una grande maschera Bwa (Alto Volta).

Antonio Aimi, 04 ottobre 2017 | © Riproduzione riservata

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