Veduta dell’installazione «Pistarama», di Dominique Gonzalez-Foerster, 2023. Cortesia dell’artista e di Pinacoteca Agnelli, Torino. Foto: Sebastiano Pellion di Persano

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Veduta dell’installazione «Pistarama», di Dominique Gonzalez-Foerster, 2023. Cortesia dell’artista e di Pinacoteca Agnelli, Torino. Foto: Sebastiano Pellion di Persano

Dominique Gonzalez-Foerster: a Torino ho avuto una visione

La mastodontica opera «Pistarama» dell’artista francese è un collage monumentale di 155 metri sulla curva parabolica della Pista 500 al Lingotto

Cresciuta negli anni Settanta in una famiglia di sinistra, Dominique Gonzalez-Foerster (Strasburgo, 1965) è un’artista colta e raffinata, da sempre attenta alle lotte per le diseguaglianze, alle battaglie ecologiste, antirazziste e femministe. La sua pittura figurativa e cinematografica fissa personaggi, simboli e contraddizioni della contemporaneità in monumentali affreschi, universali performance dove ciascuno di noi è invitato a trovare il proprio varco di ingresso e la propria collocazione. Qui ci racconta il suo mastodontico «Pistarama», 155 metri di immagini permanenti (a cura di Lucrezia Calabrò Visconti) con cui la Pista 500 della Pinacoteca Agnelli si prepara a festeggiare il primo anno di attività.

«Pistarama» è un capitolo della serie «Panorama». Com’è nata la serie e come si è sviluppata?
Il fortissimo contrasto tra l’esperienza di solitudine e confinamento e le diffuse proteste antirazziste, femministe e ambientaliste scoppiate dopo il lockdown del 2019 ha generato la prima «visione» panoramica per la Secession, una visione quasi medianica, proseguita poi fino a Torino con «Pistarama», che è il quinto capitolo. Segue «Volcanic excursion, a vision», presentato al Secession a Vienna nel giugno 2021; «Metapanorama» alla Serpentine Gallery di Londra, e «Panoramism and the Abstract Sector» alla Esther Schipper a Berlino, entrambi nel 2022; e «Farmacias Distantes», realizzato all’inizio del 2023 per l’Albarrán-Bourdais di Madrid.

Qualcuno ha osservato che «Riyo» (1999), il mio primo cortometraggio, e «Cosmodrome» (2001), un grande ambiente immersivo di luci e suoni, sono le fasi germinali della mia ossessione per il panorama. Anche le «Apparizioni» sono state essenziali, una sorta di opera incompiuta composta da una serie di personaggi fittizi e non, che si manifestavano in vari modi attraverso performance, illusioni olografiche, trasformazioni multiple di vari esseri per riconoscere e celebrare la complessità interiore, con una convergenza e stratificazione di influenze e riferimenti. Queste apparizioni hanno iniziato a formare una piccola folla che riecheggiava proteste e marce, ovvero, secondo l’interpretazione della filosofa poststrutturalista statunitense Judith Butler, assembramenti performativi di corpi. 

Qual è stata la genesi dell’opera nella Pista 500? Aveva già l’idea di fare un’opera murale o questa soluzione è nata dopo aver visionato gli spazi?
Sono stata invitata in quanto autrice del panorama viennese, il che è stato una specie di «fertile trappola». Mi piacerebbe pensare che l’opera sia arrivata dopo aver visto lo spazio, ma è stato un po’ più complicato di così. Mi hanno colpito l’intero complesso del Lingotto, le sue tante storie e stratificazioni, da gigantesca fabbrica del XX secolo a centro commerciale con in cima un museo e una specie di parco ballardiano, un circuito sopraelevato di asfalto trasformato in un futuristico giardino con una simil astronave, un gigantesco scrigno del tesoro che vi galleggia sopra.

Uno strano silenzio proviene dalle montagne e dalla città circostante… Sentivo una strana connessione, ma non sapevo se sarebbe successo davvero qualcosa. Quando sono stata contattata dalla Pinacoteca ho accettato con riserva, dicendo che non ci avrei lavorato se non avessi avuto una «visione», qualcosa che mi avrebbe guidato. Ma per fortuna è successo, una notte dello scorso dicembre, quando alcuni dei frammenti che avevo raccolto hanno cominciato insieme a prendere senso: la resistenza antifascista al Lingotto nel 1943, alcuni graffiti che avevo visto di notte a Torino, ricerche su dipinti e muri presenti anche a Berlino. 
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Come è stata eseguita l’opera, ha lavorato da sola?
155 metri sono molti, non avevamo molto tempo. Faccio molta ricerca, spesso di notte, quando c’è silenzio. Non ho uno studio, ma lavoro da più di vent’anni con Martial Galfion, architetto ed esperto di piante, disegni e immagini. Per molti versi si tratta di un collage: ho trovato le immagini soprattutto in rete, ho letto molto, cercato indizi, c’è stata una fantastica collaborazione con il team della Pinacoteca.

Sulla base del primo schizzo Lucrezia Calabrò Visconti e alcuni suoi colleghi hanno avanzato proposte e suggerimenti: per esempio, mi hanno fatto conoscere l’enorme e stimolante archivio fotografico femminista di Paola Agosti, le fotografie dei graffiti torinesi. La lettura di libri di Silvia Federici, Chiara Bottici, Nanni Balestrini, Natalia e Carlo Ginzburg, Porpora Marcasciano, Marcello Tari è stata una parte essenziale della ricerca. Il panorama inizia con i graffiti su entrambi i lati, poi seguono la «zona» dove si incontra una moltitudine di proteste e quella più malinconica e desertica.


È il primo Panorama che realizza all’aperto, in un luogo che è sia museo sia spazio pubblico. Questo come ha influito sul suo lavoro?
È stata una fortuna che io avessi già avuto esperienze «panoramiche» a Vienna e a Londra. Questa è però comunque una scala molto difficile da immaginare, visualizzare e pensare. Questo panorama contiene tutti i precedenti ed è ancora più grande. È una superficie infinita, molto cinematografica. Probabilmente è per questo che il cinema gioca un ruolo importante.

Avevo già realizzato qualche lavoro su larga scala all’aperto, con progetti come «Park, plan d’evasion» a Documenta 11, «Roman de Munster» per Skulptur Projekte 2007, «Desert Park» a Inhotim, e mostre gigantesche al chiuso, come «TH.2058» alla Turbine Hall della Tate e «Pynchon Park» al Maat (il Museo di Arte, Architettura e Tecnologia) di Lisbona. Ma è sempre una situazione nuova, un palinsesto diverso di precedenti occupazioni, artistiche o meno. Nulla ti prepara a questa dimensione e a questa esperienza, in qualche modo sono ancora scioccata.


155 metri di storia di Torino: che idea si è fatta di questa storia e quali sono stati per lei gli elementi più significativi?
Sono cresciuta e ho studiato a Grenoble (non lontano da Torino), ho visto il Castello di Rivoli quando è stato inaugurato, ho realizzato un progetto per il Pav nel 2006, ma non conoscevo Torino come la vedo ora. In una città piena di monumenti, musei e statue è importante dare spazio a rappresentazioni meno costruite, meno monumentali ma altrettanto se non maggiormente importanti, rappresentazioni di ogni tipo di lotta, epifania, desiderio, trasformazione, emancipazione collettiva.

Quali sono i personaggi e i riferimenti che l’hanno colpita o sorpresa maggiormente? E come si legano queste storie alle altre storie del mondo?
Ci sono così tante storie e possibili approcci, politici, filosofici, artistici, cinematografici e fotografici in questo panorama, che è molto difficile scegliere. Ciascuno deve trovarci la propria strada.
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L’arte deve avere un ruolo e un valore politico? Nel suo lavoro cita anche manifestazioni, rivendicazioni e lotte. Tutte azioni collettive ispirate e guidate, specie negli anni Sessanta e Settanta, da grandi ideali.
La pratica attivista è una parte essenziale della genealogia di «Pistarama». In tale ambito non possiamo dimenticare i murales di Diego Rivera, «Guernica» di Picasso, «La zattera della Medusa» di Géricault, ma anche l’arte anonima, le Guerrilla Girls, le performance e i film di Maria Galindo e molti altri.

Nel suo lavoro racconta un episodio di antifascismo avvenuto al Lingotto nel 1943. Ce ne può parlare? Secondo lei oggi esiste un reale pericolo di ritorno dei fascismi e neofascismi?
Come Katherine Burdekin e altri scrittori, penso che contenere il fascismo in tutte le sue dimensioni sarà una lotta senza fine. Sono cresciuta negli anni Settanta con genitori di sinistra e da bambina pensavo che nel mondo ci sarebbero stati sempre più femminismo e più ecologia, ma se ripenso alle mie proiezioni infantili siamo approdati alla distopia in troppe parti del mondo.

Che cosa porterà con sé di Torino e di questa esperienza?
È stato un processo molto intenso e incompiuto, un team fantastico con un modo straordinario di lavorare e di fare ricerca insieme per trovare soluzioni di questa portata. Non vedo l’ora di tornare per il programma del «Little Fun Palace» alla fine del mese (dal 26 al 28 maggio, a cura di OHT [Office for Human Theatre], con programma di performance, talk, musica, letture e workshop per festeggiare un anno dall’inaugurazione della Pista 500, progetto artistico della Pinacoteca Agnelli a cura di Sarah Cosulich e Lucrezia Calabrò Visconti, Ndr).

Veduta dell’installazione «Pistarama», di Dominique Gonzalez-Foerster, 2023. Cortesia dell’artista e di Pinacoteca Agnelli, Torino. Foto: Piero Ottaviano per Evergreen Design House

Veduta dell’installazione «Pistarama», di Dominique Gonzalez-Foerster, 2023. Cortesia dell’artista e di Pinacoteca Agnelli, Torino. Foto: Piero Ottaviano per Evergreen Design House

Jenny Dogliani, 12 maggio 2023 | © Riproduzione riservata

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