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Divulgare Manuzio

Alessandro Morandotti

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Come sono contento: tono immediato, allestimento senza ambizioni, lessico familiare e lingua comune rendono digeribili contenuti impegnativi

Visitare la mostra molto chiara e ben organizzata «Aldo Manuzio. Il Rinascimento di Venezia» (Venezia, Gallerie dell’Accademia, 19 marzo-19 giugno 2016) mette di buon umore e fa sperare nel futuro da molti punti di vista. Risulta innanzitutto chiaro che è possibile divulgare in modo comprensibile a tutti temi apparentemente ostici e che la forza narrativa di una mostra è frutto di una piana intelligenza didattica. È come se i curatori e i loro collaboratori, spesso molto giovani, avessero fatto proprio l’insegnamento di Aldo e avessero intrapreso la sua stessa sfida; così come l’inventore dei «classici tascabili» aveva reso accessibile a un pubblico più vasto la lettura degli scrittori greci e latini senza rinunciare alla maniacale cura editoriale, gli storici dell’arte e del libro hanno qui affrontato temi di ricerca anche molto specialistici con spirito di servizio pubblico senza dimenticare il rigore della propria formazione accademica. 

E così il fermento collezionistico ed editoriale della Venezia del Rinascimento, la passione di quella città, dai confini culturalmente molto aperti, per temi mitologici e allegorici anche molto complicati sono restituiti con un tono fresco e immediato che rende fatti lontani nel tempo subito familiari. Merito anche di un allestimento molto serrato ma senza troppe ambizioni, dove i libri nelle vetrine e le opere d’arte a parete dialogano per formati e argomenti in modo coerente e misurato.

Lessico familiare, lingua comune, ritmo ben scandito, senza le grandi abbuffate di opere che ormai ci attanagliano a ogni visita di nuove esposizioni; è la regola aurea trasmigrata nella mostra dalle stesse edizioni aldine, vera unità di misura, dove l’eleganza della pagina è scandita dagli ampi margini, dai caratteri ben leggibili e di fondo dal numero di pagine non eccessivo per rendere «digeribili» contenuti spesso impegnativi. Montava davvero un grande ottimismo passeggiando tra gli ambienti della mostra e le riallestite sale della collezione permanente dedicate al Settecento e all’Ottocento negli spazi del convento dei Canonici Lateranensi disegnato da Andrea Palladio.

Un nuovo corso, speriamo, perché ancora oggi altrimenti le sale napoleoniche delle Gallerie giacciono in un triste stato di semiabbandono e se ne vorrebbe presto vedere il risanamento e la riorganizzazione semplice ed efficace. Con la speranza che la successione cronologica delle opere sia ripristinata e mantenuta senza bizantinismi (che pure a Venezia sono previsti…), al di là della naturale necessità di ospitare in zone adeguate le opere di grande formato. Vedere ora le opere di Bellini divise su due piani diversi della Galleria, le opere di Pietro Longhi accanto a quelle del Quattrocento e del primo Cinquecento è davvero un po’ straniante.

Alessandro Morandotti, 11 maggio 2016 | © Riproduzione riservata

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Divulgare Manuzio | Alessandro Morandotti

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