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Antonio Aimi
Leggi i suoi articoliAnche se della Riforma Franceschini si è parlato a lungo, sembra importante osservare quali conseguenze avrà sul settore dei beni demoetnoantropologici (una dicitura, peculiarità solo italiana, che la dice lunga sui problemi del settore), mantenendo un occhio puntato su come patrimoni analoghi vengano gestiti all’estero. Da questo punto di vista appare evidente che si tratta di un’altra riforma «all’italiana», che non colma il divario che ci separa dall’Europa e dai Paesi del cosiddetto Terzo Mondo (ad esempio, il Messico), che di gran lunga ci hanno superato nella gestione dei musei e nella valorizzazione del loro patrimonio. Come sempre negli ultimi tempi, gli aspetti di grande visibilità mediatica (l’«autonomia», il bando sull’«Economist», uno stipendio quasi a livello europeo, ecc.) nascondono la mancanza di un piano organico e di una progettualità di largo respiro. Leggendo tra le righe dei decreti attuativi, soprattutto, si percepisce chiaramente che nessuno si è posto le domande fondamentali senza le quali ogni proposta di valorizzazione del nostro patrimonio rimane aria fritta. Di quante risorse possiamo disporre? Quanti visitatori vogliamo far venire? Con quale organico e organigramma pensiamo di operare? Di questi aspetti abbiamo parlato con Luca Bondioli (nella foto), direttore antropologo del Museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini di Roma, che non solo è il più importante museo italiano del settore, ma è anche l’unica istituzione italiana che vanta importanti ricerche sul campo sia in Italia che in Eritrea, Oman, Pakistan.
Dottor Bondioli, qual è il suo giudizio sulla Riforma?
La riforma del Mibact in via di attuazione, che si è incentrata sul cambiamento delle Direzioni e sulla creazione di poli museali regionali, ha portato con sé anche l’abolizione di due Soprintendenze museali importantissime: quella del Museo Pigorini e quella del Museo Nazionale d’Arte Orientale. Ma a questo cambiamento alla «testa» del sistema sembrerebbe non corrispondere (e il condizionale è voluto) un’attenzione e cura per il «corpo» del sistema museale nazionale, cioè per quell’ormai sparuto gruppo di funzionari, conservatori ecc. che continuano a tenere in vita i musei
Effettivamente, osservando che il numero degli alti dirigenti è passato dai quattro del tempo della fondazione del Ministero ai ventitré attuali, si ha l’impressione che abbiano fatto un esercito di soli generali, dimenticando che anche un direttore geniale senza mezzi e senza truppe non fa molta strada.
Purtroppo la Riforma Franceschini si è dimenticata dei giovani. L’età media dei funzionari Mibact è altissima e non è stata posta in essere un’efficiente politica di rimpiazzo di chi se n’è andato. I musei sono oggi in cronica carenza di organico, basti dire che il mio laboratorio ha perso l’80% del personale originario. Ovviamente per poter continuare degnamente qualche attività e continuare a portare avanti la salvaguardia sensu lato del patrimonio ci si è quindi rivolti a una pletora di giovani (e non più giovani ormai) collaboratori, male pagati o, spesso, non pagati, che producono enormi quantità di lavoro non riconosciuto. Queste sono le persone e le competenze che in un naturale processo di rinnovamento dovrebbero essere valorizzate, ma questo è negato dalle logiche dei tagli lineari.
Che cosa succederà senza un intervento forte e innovativo che corregga i decreti attuativi della Riforma?
Molti importanti musei, distaccati dalle Soprintendenze territoriali, perderanno nella pratica il loro legame con il territorio e, soprattutto, perderanno i conservatori, chiamati a occuparsi unicamente delle emergenze. In particolare i poli di ricerca delle due Soprintendenze abolite, che hanno fornito prestigio all’Italia ai massimi livelli internazionali, saranno sempre meno valorizzati e, privati delle risorse necessarie, prevedibilmente saranno destinati a una lunga agonia. Bisogna agire presto, perché non si trasferiscono in pochi istanti cumuli di esperienza e di conoscenze. Ma per fare questo ci vogliono tempo, uomini e mezzi. Nulla di folle o impossibile, basta fare quello che fanno gli altri Paesi europei: attuare una normale politica di assunzioni di nuovo personale che vada a sostituire chi se ne va.
Chiudiamo con alcune domande al Ministro. Come mai nel bando per i posti di dirigente non generale, appena uscito, sono scomparse due Soprintendenze archeologiche (Abruzzo e Friuli) insieme ad altri incarichi non messi a concorso? Vogliamo ancora lasciare intere regioni senza dirigenti che attuino le giuste politiche di tutela e valorizzazione? Perché?

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