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Barbara Antonetto
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Nell’ampia offerta museale torinese non tutti tengono nel dovuto conto il Museo Diocesano che nel suggestivo allestimento nella Chiesa Inferiore del Duomo presenta invece, oltre a sculture e manufatti di oreficeria e arti minori, un’importante sezione di pittura rinascimentale piemontese. Non poteva dunque avere sede più adatta la mostra «Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone ad Avigliana: dialogo tra capolavori restaurati» (fino al 18 giugno) che offre l’occasione unica di vedere ricomposto un polittico di Defendente Ferrari attualmente diviso tra la Chiesa di San Giovanni Battista e Pietro di Avigliana (i laterali con san Lorenzo e san Giovanni Battista con donatore) e la Chiesa di San Lorenzo di Cavour (la tavola centrale raffigurante lo Sposalizio mistico di santa Caterina).
L’opportunità nasce dal recente restauro condotto presso il Centro Conservazione e Restauro «La Venaria Reale» grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo. Nel 2014, in seguito a un accordo con la Diocesi di Torino, il Centro ha avviato un progetto di studio per la conservazione dei dipinti su tavola che ha riguardato due polittici (quello dello Sposalizio mistico di santa Caterina e quello di san Gerolamo penitente) e una portella di una macchina d’altare (raffigurante sul fronte le Tentazioni di sant’Antonio abate, e sul retro la Flagellazione di Cristo) della chiesa di Avigliana che conserva uno dei nuclei più consistenti di pittura del Cinquecento piemontese su tavola fuori da una sede museale.
La decina di opere che compongono tale nucleo, riferibile ai due epigoni del Rinascimento in Piemonte Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone, vi approdò nel corso dell’Ottocento in seguito alla dispersione del patrimonio delle chiese del territorio circostante. Fu il parroco dell’epoca, molto attivo nel restauro seppure con riassemblamenti arbitrari, a ricevere in dono lo Sposalizio mistico di santa Caterina quando fu trasferito a Cavour. Defendente Ferrari, probabilmente allievo di Giovanni Martino Spanzotti, fu attivo in Piemonte nella prima metà del Cinquecento (al 1530 è documentato il suo capolavoro conservato nell’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso) e ai suoi modi si formò il vercellese Gerolamo Giovenone.
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