Da Calabro Vezzoli riapre la casa di Iolas

L’artista lombardo riattiva la visionarietà e l’eclettismo del gallerista greco

«’Ore The Ramparts We Watched, Fascinated» (1959) di Edward Kienholz, Milano, Collezione Prada. Foto: Jeff McLane. Cortesia di L.A.Louver, Venice, CA
Ada Masoero |  | MILANO

Un’altra mostra di studio nella galleria di Tommaso Calabro, che dopo l’omaggio, nel 2018, al grande gallerista italiano Carlo Cardazzo (1908-63), torna sullo stesso filone d’indagine con la vicenda di Alexander Iolas (1907-87), uno dei più importanti mercanti d’arte del secondo ‘900 e il primo a creare una rete internazionale di gallerie.

Dopo una vita di successi tra Stati Uniti ed Europa, subito dopo la morte Iolas fu però dimenticato, quasi sottoposto a una damnatio memoriae, com’è provato dallo stato di rudere (facilmente verificabile online) in cui è stata ridotta la sua villa nei sobborghi d’Atene, che lui, greco d’origine, avrebbe voluto donare alla Grecia: allora, un vero museo della migliore arte contemporanea, oggi una rovina vandalizzata e depredata di tutte le opere (molte dell’amico Andy Warhol) e degli arredi.

«Era una figura scomoda per la politica greca di allora, spiega Tommaso Calabro a “Il Giornale dell’Arte”, e fu anche accusato di aver trafugato reperti archeologici. Ciò che io mi riproponevo con questa mostra era rievocare la sua visionarietà e il suo eclettismo. E chi meglio di Francesco Vezzoli avrebbe potuto farlo?». Ed è proprio Francesco Vezzoli, infatti, il curatore della mostra «Casa Iolas. Citofonare Vezzoli», aperta dal 24 settembre al 16 gennaio e accompagnata da un importante catalogo con testi di Luca Massimo Barbero.

Nei saloni della galleria, in un allestimento onirico con cui Vezzoli ha voluto evocarne la casa, sfilano molti dipinti esposti dal gallerista (o passati per le sue mani), opera degli artisti prediletti: in primo luogo i surrealisti, incontrati a Parigi quando, ballerino famoso e collezionista, dovette interrompere la sua carriera per un incidente e si reinventò mercante d’arte.

I primi che conobbe furono Max Ernst, René Magritte, Victor Brauner, da lui promossi negli Stati Uniti sin dal 1946, cui sarebbero seguiti Braque, Man Ray, Picasso, de Chirico, diventati suoi amici stretti, e poi Copley, Fontana, Yves Klein, Kounellis, Raysse, Matta, Mattiacci, Pascali, Niki de Saint Phalle, Squatriti, Tinguely.

Le opere di molti di loro sono esposte qui tra oggetti d’arredo (come la scrivania) che gli appartennero, ma in ogni sala trovano posto anche lavori di Vezzoli, alcuni inediti, altri già esposti ma qui riattivati dal nuovo contesto. E, fra le rarità in mostra, ecco i magnifici cataloghi («in edizioni limitate, e curati come libri d’artista», commenta Calabro) e i manifesti delle sue mostre, realizzati con il grande stampatore milanese Sergio Tosi.

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