«Compositional Study for Song of the Hunt» (2022), di Kent Monkman

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«Compositional Study for Song of the Hunt» (2022), di Kent Monkman

Con Monkman la pittura storica rovescia la prospettiva

Le opere umoristiche e le parodie dei grandi formati del pittore americano ribaltano lo sguardo coloniale, come traspare dall’allestimento al Royal Ontario Museum di Toronto

Sebbene abbia lavorato con diversi mezzi espressivi, l’artista Cree e canadese Kent Monkman (nato nel 1965 in Ontario) è oggi conosciuto soprattutto per le sue tele figurative di grandi dimensioni, che si ispirano alla grande tradizione della pittura occidentale di storia sper sfidare i pregiudizi coloniali dell’arte e delle collezioni istituzionali.

I suoi interventi nei musei esplorano spesso i temi della colonizzazione, della sessualità, della perdita e della resilienza. Nel 2019, nella sua mostra finora più importante, Monkman ha esposto nella Great Hall del Metropolitan Museum of Art un paio di tele monumentali che in risposta ad alcuni capolavori dell’istituzione newyorkese reimmaginavano provocatoriamente le narrazioni tradizionali dei coloni bianchi attraverso gli occhi delle popolazioni indigene.

Qui, come in molte opere di Monkman, era presente Miss Chief Eagle Testickle, il suo alter ego sgargiante, esuberante e gender-fluid, che non appare come una vittima oppressa della sottomissione dei coloni, ma come un provocante essere soprannaturale. È anche una protagonista di spicco di «Being Legendary», la nuova mostra di Monkman con oltre 30 dipinti, oggetti e testi, allestita al Royal Ontario Museum di Toronto dall’8 ottobre al 19 marzo.

Per «Being Legendary» ha utilizzato oggetti provenienti dalle collezioni geologiche, paleontologiche e antropologiche del Royal Ontario Museum. Qual è stato il suo punto di partenza?
Tutto è iniziato da una conversazione che ho avuto nel 2017 con il direttore del museo, Josh Basseches, che mi aveva detto che il museo non possedeva alcun materiale, oggetti o arte, che parlasse dell’eredità delle scuole residenziali (controversi collegi per bambini indigeni, Ndr). In Canada, le scuole residenziali hanno avuto un impatto devastante sulle popolazioni indigene, perché si è trattato di una politica progettata per cancellarci, cancellare le nostre lingue e allontanare i bambini dal loro patrimonio culturale e dalle loro famiglie.

I bambini sono stati messi in campi di lavoro e migliaia di loro non sono più tornati a casa. Il Royal Ontario Museum è uno dei musei più importanti del Paese, ma non ha modo di colmare questa mancanza di informazioni su una vicenda che ha coinvolto diverse generazioni di canadesi, perché non è stata insegnata nelle scuole. È l
oscuro segreto del Canada e capire gli indigeni, da dove veniamo e dove siamo ora, fa parte della storia.

Alcuni dipinti e testi esposti fanno forti riferimenti alla brutale politica che il Governo canadese ha messo in atto per oltre un secolo, ma la storia ripercorsa risale anche a millenni prima.
Una delle grandi attrazioni del Royal Ontario Museum sono i fossili di dinosauro. Decine di migliaia di studenti e adulti che vi si recano ogni anno sono affascinati da questi oggetti, e anche io li adoro. Ma questo mi ha fatto pensare: che cosa è stato insegnato ai bambini indigeni su queste antiche creature giganti? Che cosa sappiamo di questi fossili estratti dalla nostra terra? Volevo parlare di come i colonizzatori abbiano bloccato la trasmissione di conoscenze insegnate ai bambini indigeni dai loro antenati, iniziata nel periodo coloniale.

Con l’
evolversi del progetto, mi sono reso conto che le nostre storie, spesso liquidate dalle culture coloniali come carine, pittoresche o folcloristiche, contengono scienza e conoscenza. Abbiamo storie che parlano di una delle estinzioni di massa, abbiamo storie e parole nella nostra lingua Cree che parlano del ritiro dei ghiacciai. In queste storie cè la scienza, e la scienza indigena è un campo molto vasto. Abbiamo conoscenze stellari, botaniche, conosciamo la nostra terra. E queste conoscenze sono incorporate nella nostra lingua e cultura Cree. Siamo qui da molto più tempo di quanto i coloni vogliano credere o vogliano farci credere.
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Lei racconta questa storia attraverso la voce e limmagine del suo alter ego Miss Chief Eagle Testickle. Questo essere che viaggia nel tempo e cambia forma è presente nelle sue opere da alcuni anni. Da dove viene?
Miss Chief è stata creata per vivere una comprensione più consapevole delle identità di genere e della sessualità degli indigeni. Quando i coloni arrivarono, incontrarono persone che vivevano in maniera opposta a quella «prescritta» da loro genere. Avevamo un posto per queste persone, sia che fossero stati assegnati al sesso maschile alla nascita e vivessero in un ruolo femminile, e viceversa.

Nell
antica lingua Cree non cerano parole per distinguere il genere, perché non aveva importanza. Il genere o la sessualità di una persona erano irrilevanti e non esistevano parole per definirli. Cera una comprensione e unaccettazione più fluida della sessualità. Uno dei primi dipinti che ho realizzato con il personaggio di Miss Chief era quello in cui lei dipingeva il ritratto di un cowboy, e da lì il suo ruolo è diventato sempre più importante. È nata dal desiderio di invertire lo sguardo e dire: «Se voi guardate noi, noi guardiamo voi». Rappresenta una concezione molto forte della sessualità e del genere indigeni. È una tosta.

La mostra «Being Legendary» affronta le atrocità culturali, ma lumorismo è sempre presente.
Lumorismo è parte integrante del mio lavoro. Fa parte del nostro modo culturale di guardare il mondo, e anche il mio modo di trascendere la storia della mia famiglia e la mia identità. Sono Cree e il nostro Creatore è un personaggio ingannatore, quindi abbiamo un senso dell’umorismo intrinseco nel nostro modo di guardare il mondo, che credo sia anche la chiave per poter affrontare alcuni di questi episodi oscuri.

Con l
evolversi del progetto della mostra al Royal Ontario Museum, mi sono reso conto che il periodo coloniale è in realtà solo una piccola parentesi in questa lunga linea temporale della nostra esistenza qui: è diventato sempre meno rilevante, ma era comunque un aspetto necessario da affrontare nel racconto di questa storia di interruzione di una cultura. Volevo anche che la gente si rendesse conto che cè stato un lungo periodo precedente, e che ora stiamo entrando nel nostro periodo successivo, e che non vogliamo essere definiti dallera coloniale. Questo periodo è stato devastante per noi, ma siamo molto di più: eravamo qui, ed è un’esistenza così ricca.

Le sue gigantesche tele figurative si rifanno alla più grande tradizione della pittura di storia. Perché ha scelto di lavorare in questo modo?
Quando ho iniziato a dipingere, ero un pittore astratto perché avevo ereditato le tradizioni pittoriche degli espressionisti astratti. Cercavo di trovare il mio modo unico di fare un segno, che fosse una goccia, uno schizzo o una striscia. Ma il linguaggio che avevo sviluppato era così personale che non ero in grado di comunicare i temi che mi stavano a cuore: la mia comunità, la mia famiglia e limpatto della colonizzazione. Poi, dopo aver realizzato dipinti astratti per molti anni, ho compiuto una svolta di 180 gradi, facendo sparire la mia mano. Per me è stato un momento di maturazione.

È interessante che lei abbia scelto di lavorare su formati così ampi e con così tante citazioni dei grandi maestri della storia dellarte europea, come Rubens o Delacroix, o dei grandi pittori della tradizione americana come Winslow Homer.
Sono un grande sostenitore del potere della pittura storica, perché l’impatto che trasmette un dipinto di storia quando ci si trova di fronte è molto forte. C'è un senso di autorità che si esprime attraverso la dimensione, le composizioni e i gesti. Non si tratta di fingere: qui si tratta di costruire dipinti dalle fondamenta e di capire come vengono realizzati, per esplorare ciò che è possibile in termini di emozioni ed espressione umana. È bello osservare quando le persone si immedesimano nell’opera, perché all’inizio pensano di vedere una cosa, ma poi è il contrario. Sto usando un mezzo simile a quello dei pittori della storia dell’arte occidentale, ma comunicando una visione del mondo radicalmente diversa dall’originale a cui mi ispiro. Ho invertito lo sguardo e ora dico: «Ok, ora siamo noi a guardare voi».

Kent Monkman cerca di rimodellare i miti fondamentali dei coloni bianchi del Nord America portando le esperienze dei popoli indigeni nella tradizione della pittura di storia occidentale

Louisa Buck, 07 ottobre 2022 | © Riproduzione riservata

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