Il Deposito del Santo Chiodo a Spoleto. Foto di Stefano Miliani

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Il Deposito del Santo Chiodo a Spoleto. Foto di Stefano Miliani

Cantieri post terremoto: salvati e sommersi

Dalla prima scossa del 24 agosto 2016 a quelle di ottobre come si è intervenuti sui beni culturali feriti dal sisma? Da Amatrice a San Salvatore presso Norcia passando per Camerino, un itinerario con gli esperti. Tra eccellenze, ritardi e una burocrazia che frena

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Redazione GDA

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Nella notte del 24 agosto 2016 una scossa di magnitudo 6 ha scosso il Centro Italia devastando, nel reatino, il borgo di Amatrice e frazioni come Accumoli e dando inizio a una sequenza che ha avuto i suoi picchi il 26, il 30 ottobre e il 18 gennaio 2017.
Quel terremoto e la lunga scia sismica hanno ferito gravemente l’area sud-est dell’Umbria, a partire da Norcia e Castelluccio, hanno ferito le Marche soprattutto quelle addossate ai Monti Sibillini, distruggendo paesi come Arquata del Tronto, Castelsantangelo sul Nera, Visso, Ussita, le scosse hanno lambito l’Abruzzo nel Teramano. Quella notte ad Amatrice morirono 299 persone. A un anno dal primo colpo della terra, qual è lo scenario? Ci si deve misurare ancora con molte macerie la cui rimozione, salvo quelle dei monumenti, spetta a Protezione Civile e Regioni. Pur se occorre ricordare che il «cratere», l’area colpita dal sisma è vastissima e comprende 140 Comuni in Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo, un bilancio deve comprendere capitoli ben riusciti, come ha dimostrato di funzionare bene il deposito attrezzato di opere d’arte umbre terremotate con laboratorio di restauro al Santo Chiodo a Spoleto, e capitoli molto meno felici.


La ricostruzione dei paesi

Ampi reportage di più quotidiani hanno dimostrato come su questo fronte il ritardo è ancora notevole e la consegna di casette prefabbricate magari in legno non ha proceduto alla velocità promessa all’indomani del disastro.  Possiamo testimoniare che il centro storico di Camerino (Macerata), «zona rossa» sorvegliata dai militari, in un giorno lavorativo di fine giugno aveva come unici cantieri attivi quelli del Ministero dei Beni e Attività culturali e del Turismo nel Duomo e nella chiesa di Santa Maria al Via, dove la magnifica cupola è crollata a febbraio sotto il peso della neve (secondo il parroco anche perché nessuna autorità aveva ascoltato i suoi appelli a intervenire prima). Negli altri angoli della cittadina dominava un silenzio spettrale. Non capiterà a Camerino, che è centro universitario. Anche i nuclei storici di borghi come Castelsantangelo sul Nera e Visso sono ancora terremotati. E molte frazioni che formano il tessuto paesaggistico e culturale dell’Appennino, magari in luoghi fuori mano, rischiano di restare abbandonate. E senza vita civile intorno anche una chiesa con un affresco perde la sua storia.


Sforzo massimo per forze insufficienti e troppa burocrazia

Sul patrimonio artistico, va detto chiaramente un fatto: insieme a Vigili del Fuoco e ai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale la gran parte dei tecnici e funzionari si è spesa al massimo delle forze anche a proprio rischio; il vostro cronista ha visto una storica dell’arte e una soprintendente infilarsi coraggiosamente e via aerea in una chiesa di Norcia pericolante per riacciuffare una pala d’altare. Eppure, nonostante i rinforzi di colleghi del ministero, arrivati da altre regioni, la cronica insufficienza di personale nelle soprintendenze si è palesata in tutta la sua evidenza. Molti tecnici in prima fila avrebbero dovuto avere il dono dell’ubiquità per rispondere a tutte le emergenze. Il sisma ha reso palpabile che il fronte della tutela è troppo sguarnito come ammettono, dietro le quinte, numerosi tecnici del ministero stesso. Oltre tutto le emergenze sono sempre dietro l’angolo. E a un anno di distanza si conferma che ogni passaggio burocratico per qualsiasi intervento (anche di salvataggi urgenti delle opere) è stata una autentica piaga.

Il caso Amatrice

Un bel libro uscito di recente, Amatrice. Storia arte cultura, a cura di Alessandro Viscogliosi (Silvana Editoriale, € 50,00) ha documentato bene con testi e foto il passato e il presente del borgo simbolo del terremoto. Architetto di lungo corso che lavora sulla pianificazione e il recupero urbano, con moglie della frazione di Sant’Angelo di Amatrice, dal suo studio Carlo Maria Sadich conosce a fondo il paese del reatino e i dintorni. La sua analisi: «Lì non c’era più un soprintendente sul territorio come fino a pochi anni fa ,per cui hanno mobilitato persone che non conoscono il territorio». E sulle chiese ad Amatrice ravvisa ritardi: «Ne scrisse già a settembre 2016 Sergio Rizzo sul "Corriere della Sera" e faccio un esempio: quindici giorni  dopo il 30 ottobre a Norcia stavano puntellando la torre campanaria e la chiesa di San Benedetto, ad Amatrice hanno messo mano alla chiesa di Sant’Agostino, che dapprima aveva avuto danni relativi, sei mesi dopo agosto. La messa in sicurezza della chiesa di San Francesco è iniziata in primavera e stanno cercando adesso di recuperare il muro della navata destra crollato con pezzi di affreschi. E le chiese minori? Quella del cimitero di Sommati, la più antica in zona e costruita sopra una casa romana, si era solo lesionata, poi è quasi crollata. Rispetto all’Umbria e alle Marche, mi pare che il Lazio, non per una scelta, sia stata la regione più impreparata».
Bisogna anche prevenire. Infatti per Sadlich adesso sarebbe indispensabile «aggiornare la conoscenza capillare del sottosuolo con cartografie sulla sismicità dell’intera area. Le tecnologie dell’Eni per le ricerche petrolifere sono un’eccellenza: perché non usarle?».

Puntellamenti mancati dopo la prima scossa?

La torre campanaria di Amatrice, simbolo dapprima rimasto parzialmente in piedi, a ottobre è venuta giù. A Norcia la chiesa di San Benedetto ha risentito soprattutto della botta del 30 ottobre. Una polemica aleggia sempre: dopo il 24 agosto, molte chiese potevano cavarsela meglio se fossero state puntellate? «No, risponde a "Il Giornale dell’Arte" una funzionaria che chiede di non citare il nome e lavora sul campo, nessuno poteva prevedere una scossa più forte della prima e così distruttiva come quella del 30 ottobre; in altri terremoti sono seguite solo scosse di assestamento. In Umbria solo tre chiese sembravano a rischio di crollo, San Pellegrino, Castelluccio e Frascaro, ed erano state messe in sicurezza, le altre erano inagibili. Il campanile di Castelluccio era stato consolidato e non è bastato».


Il cantiere-pilota di San Salvatore in Campi

Il cantiere-pilota a San Salvatore in Campi, presso Norcia, nella chiesa romanica dalle pareti affrescate e sbriciolata dalle scosse di ottobre, sembra un esempio felice di intervento. Qui agiscono Soprintendenza alle Belle Arti dell’Umbria diretta da Marica Mercalli e l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma per il quale parla Stefania Argenti, architetto: «Confidiamo di ricostruire una buona parte degli apparati decorativi anche se le strutture sono gravemente compromesse. Estraiamo e cataloghiamo le parti con frammenti di decorazioni setacciando anche le polveri e sperimentando accortezze e procedure per facilitarne la ricomposizione». L’Iscr lo definisce un cantiere-pilota. Su quali basi? «Con lungimiranza la soprintendente umbra e la nostra direttrice Gisella Capponi hanno messo in atto fin dall’avvio un cantiere sperimentale, risponde Stefania Argenti. Come a San Benedetto a Norcia anche qui siamo entrati contemporaneamente alla Protezione Civile e in sinergia con i Vigili del Fuoco già nella prima fase, subordinando tutto alla sicurezza delle persone beninteso, e questo ha permesso di salvare elementi dalle macerie che cataloghiamo pezzo per pezzo. Gisella Capponi oltre a programmare bene ha voluto un controllo ingegneristico con l’ingegnere Stefano Podestà, dell’Università di Genova ed è il nostro punto di forza: noi diciamo che cosa estrarre, lui dice come intervenire. È una sfida quotidiana, individuiamo le procedure giorno per giorno: anche per questo siamo un cantiere-laboratorio». La situazione resta logicamente complessa. «Sì. Abbiamo elementi enormi in cemento armato, moderni, che hanno forse causato il crollo, comprimono le strutture sottostanti, sono pesantissimi e non possiamo creare vibrazioni. Però siamo  ottimisti: l’obiettivo è riassemblare e ricontestualizzare il più possibile qui nel sito stesso l’apparato decorativo che era bellissimo».
Gli affreschi di fine Trecento, del Quattrocento e i brani cinquecenteschi difficilmente potranno tornare come prima. «Avranno le cicatrici del trauma, risponde l’architetto, tuttavia di fronte a tante difficoltà stiamo vedendo i risultati. Inoltre arrivano indicazioni utili per pianificare interventi nel caso di altri eventi sismici catastrofici in futuro. Voglio ricordare tra i tanti l’architetto Maria Elena Corrado e la restauratrice Giuseppina Fazi e voglio confessare di essere entusiasta di questo cantiere dove agiscono in sintonia tante professionalità diverse».
Alla selezione e messa in sicurezza delle pietre e degli affreschi di San Salvatore in Campi ha contribuito in maniera decisiva l’associazione di restauratori volontari per i beni culturali Chief Onlus che ha ricevuto una lettera di encomio dal Ministero.

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Il Deposito del Santo Chiodo a Spoleto. Foto di Stefano Miliani

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San Salvatore in Campi, il cantiere-pilota dell'Iscr. Foto di Elena Corrado

San Salvatore in Campi, il cantiere-pilota dell'Iscr. Foto di Elena Corrado

San Salvatore in Campi, il cantiere-pilota dell'Iscr. Foto di Elena Corrado

San Salvatore in Campi, il cantiere-pilota dell'Iscr. Foto di Elena Corrado

La chiesa di San Salvatore in Campi dopo il terremoto. Foto di Alessandro Delpriori, Matelica

Castelsantangelo sul Nera (Macerata). Foto di Stefano Miliani

Castelsantangelo sul Nera (Macerata). Foto di Stefano Miliani

La Chiesa di Santa Maria al Via a Camerino (Macerata). Foto di Stefano Miliani

Macerie a Camerino (Macerata). Foto di Stefano Miliani

Redazione GDA, 18 agosto 2017 | © Riproduzione riservata

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