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Walter Guadagnini
Leggi i suoi articoliCamera-Centro italiano per la fotografia inaugura il primo ottobre a poca distanza dal Museo Egizio e dal Museo del Cinema.
La sede (ammontare dei lavori circa un milione di euro) è un edificio in via delle Rosine 18 in cui fu aperta la prima scuola pubblica del Regno d’Italia all’interno di un complesso di proprietà dell’Opera Munifica Istruzione denominato Isolato di Santa Pelagia. Dei 2mila mq di superficie del Centro, 800 saranno dedicati all’attività espositiva: 8 mostre l’anno di cui 3 principali e 5 complementari.
Alla prima su Boris Mikhailov (cfr. box) seguirà «Italia 1968-78» dedicata al ruolo della fotografia come strumento di approfondimento storico e sociale. L’attività didattica prevederà sia laboratori per le scuole sia corsi di alta formazione.
Camera conta su partner istituzionali (Magnum Photos, Intesa Sanpaolo, Eni) e partner sostenitori (Reda, Leica, Lavazza) e ha il patrocinio della Città di Torino (orari: mercoledì, venerdì, sabato, domenica e lunedì 11-19, giovedì 11-21, martedì chiuso, biglietto 8 euro, ridotto 5).
Il direttore di Camera è la trentottenne torinese Lorenza Bravetta cui abbiamo rivolto qualche domanda per tracciare il suo profilo personale e quello della nuova istituzione.
Lei è molto giovane ma ha già una notevole storia professionale alle spalle: ci vuole raccontare come è nato il suo interesse per la fotografia?
L’interesse per la fotografia è nato «frequentandola»: a diciannove anni, iscritta a Lettere e Filosofia a Torino, ho seguito a Parigi un’amica per uno stage di tre mesi in Magnum Photos. Sapevo vagamente che cosa fosse Magnum, ma ero curiosa, incline a ogni forma di espressione artistica, desiderosa di affermare la mia indipendenza e la mia libertà.
Magnum: uno stage lungo 17 anni.
Sì, dopo un anno mi reclamavano a Torino, per portare a termine gli studi. Ma ormai la passione era scoppiata, e andai dall’allora direttore François Hébel, esprimendogli la mia determinazione. Il primo incarico arrivò pochi giorni dopo e fu a Magnum International come responsabile del network internazionale degli agenti. In seguito, ho lavorato con i direttori che si sono succeduti, Ayperi Ecer, Diane Dufour e Julian Frydman, in vari ambiti, dal dipartimento editoriale alla pubblicità, alla gestione delle attività commerciali, inclusi i rapporti con le aziende, con le istituzioni e gli organismi internazionali. Infine nel 2011 ho sostituito Frydman alla direzione delle attività di Magnum in Europa continentale, fino a dicembre 2014, quando ho lasciato l’agenzia per dare corpo al progetto di Camera.
Quanto di questa esperienza si troverà in Camera?
Gli anni di Magnum sono stati formativi da ogni punto di vista, sia umano sia professionale. Ho imparato a non accontentarmi, a non arrendermi di fronte alle difficoltà e anche a non aspettarmi riconoscimenti: ho capito che bisogna lavorare per se stessi, perché si crede in ciò che si fa. Sicuramente questa esperienza mi ha formata nell’approccio alla fotografia e alla vita, su valori di indipendenza, libertà e di attenzione ai temi del sociale. Camera nasce su altri presupposti, in un’altra epoca e con altri obiettivi, ma il fatto stesso che Magnum ne sia membro fondatore evidenzia il desiderio di perpetuare questi valori.
Si sente sempre più spesso suggerire ai nostri giovani di andare all’estero, a studiare ma anche a cercare lavoro: lei ha fatto il passo contrario, rientra in Italia dopo un’esperienza di successo all’estero. Perché lo fa?
Non è detto che l’estero sia un’opportunità per tutti i giovani e temo che in Italia sia invece dato come una soluzione troppo facile. Personalmente, ho provato il desiderio di tornare a casa per mettere a frutto l’esperienza acquisita, per contribuire, nel mio piccolo, allo sviluppo del Paese e a creare nuove opportunità per i nostri giovani.
Quando è nata l’idea di Camera, quale è stata la molla che le ha fatto iniziare un percorso che il primo ottobre diventa una realtà aperta al pubblico?
L’idea di Camera di dotare l’Italia di un Centro dove fruire, studiare e sperimentare la fotografia come linguaggio e forma di espressione autonoma, un Centro capace di mettere a sistema le esperienze preesistenti alla stregua di ciò che avviene da decenni in altri Paesi, è nata tre anni fa. Una serie di concomitanze e incontri fortunati, in primis con l’attuale presidente della Fondazione Camera Emanuele Chieli e con il sindaco di Torino Piero Fassino, hanno reso possibile la sua attuazione in tempi record per l’Italia.
Quali sono stati i passi successivi?
Innanzitutto si sono formati un comitato promotore e un comitato di indirizzo internazionale. Al primo hanno aderito professionisti e appassionati, essenzialmente torinesi, contribuendo, con grande generosità, alla definizione del progetto nelle sue prime fasi di sviluppo. Il secondo è invece composto di alcuni tra i curatori e i direttori delle principali istituzioni di fotografia al mondo. Inoltre, il supporto della Regione Piemonte nella ristrutturazione degli spazi, l’adesione quasi immediata di Intesa Sanpaolo ed Eni, partner istituzionali del progetto e, a seguire, di realtà quali Reda, Leica, Lavazza che lo hanno sostenuto, ci ha aiutati a non perdere di vista traguardo e obiettivi.
Quale forma giuridica avete scelto?
Camera si è costituita come fondazione di diritto privato per garantire snellezza procedurale e operativa, mantenendo un carattere d’indipendenza. L’obiettivo è svolgere una missione complementare e di accompagnamento a quella del settore pubblico, senza per questo gravare sulle già difficili condizioni degli enti locali. Nella piena consapevolezza di essere gli ultimi nati, vorremmo rappresentare un motore di coesione tra le realtà già attive in Italia: ognuna delle esperienze passate e presenti, più o meno vicine agli obiettivi di Camera, ha rappresentato un tassello importante nell’affermazione della fotografia nel nostro Paese. È forse mancato, a questo settore, uno spirito di sistema, capace di imporre l’Italia a livello internazionale, attirando risorse private in grado di alimentarne lo sviluppo.
A guardare l’organigramma, già si sentono i primi commenti tipicamente italiani: sono troppo giovani per un’impresa così grossa. Che cosa risponde?
Rispondo che è un team coraggioso, fresco e preparato, i cui membri sono stati selezionati a uno a uno. Certo, l’esperienza aiuta, ma a volte aiuta anche non averne troppa. Se in Italia si facesse meno attenzione all’età anagrafica e alle quote rosa, dando più spazio al merito, si moltiplicherebbero le opportunità utili allo sviluppo del Paese.
Aprite con Mikhailov, artista geniale e celebrato in tutto il mondo, ma certo non popolare. È un segnale del posizionamento che volete prendere all’interno di una città già ricca di spazi espositivi, dedicati anche alla fotografia?
La scelta di Boris Mikhailov è stata lungamente soppesata con il curatore, Francesco Zanot. Tra le varie possibilità, ci è parso che fosse colui che meglio incarnava uno statement per Camera: l’attenzione a temi sociali attraverso un’interpretazione soggettiva e autoriale. Volendo esplorare la fotografia come forma di documentazione del reale e di espressione artistica, auspichiamo di poter collaborare, nei prossimi anni, con le altre istituzioni presenti sul territorio. L’obiettivo non è quello di attirare le masse, ma di andare a cercare ogni singolo spettatore affinché si appropri della fotografia come linguaggio, strumento di espressione e di comprensione del mondo. Siamo consapevoli della sfida che questo progetto rappresenta e determinati a scommetterci!
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