Beni non tracciabili per oligarchi previdenti

La Svizzera e l’Unione Europea sequestrano i beni dei magnati russi. Ma il porto franco svizzero resta inviolabile

Il porto franco di Ginevra, un complesso doganale praticamente impenetrabile © Reuters Denis Balibouse
Antoine Harari |  | Londra

Dall’inizio della guerra in Ucraina, la pressione sugli oligarchi russi è aumentata in tutta Europa. La Svizzera è una delle casseforti del continente, e si stima che il 5% della ricchezza totale depositata nelle sue banche, circa 150 miliardi di dollari, appartenga a loro.

Il 4 marzo scorso il Governo svizzero ha sanzionato diversi magnati russi, tra cui Alisher Usmanov, Alexei Mordashov e Gennadi Timchenko, a cui hanno fatto seguito altre 200 persone. La Segreteria di Stato per gli Affari Economici (Seco) non ha voluto confermare a «The Art Newspaper», nostra consorella londinese, l’entità di beni e denaro sequestrati; nel frattempo il «Financial Times» ha rivelato che Credit Suisse ha dato istruzioni agli hedge fund e agli investitori di distruggere la documentazione relativa ai beni di lusso degli oligarchi russi loro clienti.

Intanto i magnati stanno trasformando parte dei propri averi in forme di ricchezza meno tracciabili, lingotti d’oro e opere d’arte, come conferma un insider del settore: «Diversi galleristi mi hanno rivelato che tre settimane prima dell’invasione c’è stata un’enorme ondata di vendite a compratori russi. La mia ipotesi è che siano stati informati della guerra in anticipo». Si stima che nel porto franco di Ginevra, un complesso doganale praticamente impenetrabile, si trovino merci e opere d’arte per un valore di circa 100 miliardi di dollari.

Il freeport ginevrino era tornato d’attualità (oltre che per i «Panama Papers») nella disputa fra l’oligarca russo Dmitry Rybolovlev e il mercante d’arte svizzero Yves Bouvier per la commissione richiesta da Bouvier sulla vendita di 38 dipinti: in quel frangente emerse che un certo numero di capolavori erano stati spostati segretamente attraverso il porto franco.

Bouvier sostiene che i porti franchi in Svizzera non chiedono l’identità del beneficiario finale. «L’unica richiesta è che la persona incaricata delle pratiche abbia base in Svizzera. Spesso è un avvocato o un fiduciario». E, aggiunge, «sono pochissimi i controlli doganali».

Secondo Anne-Laure Bandle, avvocato specializzato in arte, molto è migliorato dal 2015. «I porti franchi sono ora soggetti al diritto svizzero e hanno l’obbligo legale di tenere un inventario di tutti i beni sensibili depositati, che comprende espressamente opere d’arte, oggetti da collezione e antichità. L’inventario deve inoltre riportare nome e indirizzo dei proprietari, anche se non quello del proprietario effettivo dell’oggetto d’arte; ma i porti franchi lo richiedono sistematicamente ai propri affittuari e subaffittuari».

Rémy Pagani, politico di sinistra ed ex sindaco di Ginevra, non la pensa allo stesso modo: «A Ginevra non abbiamo nessuna conoscenza effettiva delle transazioni che vi si svolgono. Quando ero sindaco non sono mai riuscito a entrarci. È [solo] il Governo svizzero che può controllare tutto ciò che viene negoziato, ma non lo fa. Se c’è una transazione e un russo vende un quadro, il quadro rimane lì e non succede niente. Il denaro della vendita viene inviato direttamente al venditore in totale discrezione». E gli fa eco Monika Roth, insegnante universitaria e avvocata svizzera, che ricorda altri casi simili.

Abbiamo chiesto un commento all’amministrazione del freeport di Ginevra, che ha rifiutato di rispondere. Tuttavia, in un documentario dello scorso novembre, Anne-Claire Bisch, direttrice del porto franco, era stata decisamente possibilista: «Un cliente che volesse mettere in piedi uno schema finanziario complesso, offshore o in Svizzera... be', la creatività non si applica solo al mondo dell’arte... ma a ogni campo, legale o finanziario. Però non è nostro interesse farlo».

Guerra Russia-Ucraina 2022

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