La tavola della «Presentazione di Gesù al Tempio» (1470-75) di Giovanni Bellini dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia

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La tavola della «Presentazione di Gesù al Tempio» (1470-75) di Giovanni Bellini dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia

Bellini e Mantegna, parenti non serpenti

Alla National Gallery di Londra l’imperdibile confronto tra i due pittori

Dipinti, disegni e opere su carta dei due giganti del primo Rinascimento italiano Andrea Mantegna (1431-1506) e Giovanni Bellini (1433 ca-1516) sono esposti fianco a fianco alla National Gallery dal primo ottobre al 27 gennaio in una mostra che intende dimostrare come i due artisti abbiano esercitato una reciproca influenza.

Per la prima volta viene preso in esame il dialogo tra Mantegna, figlio autodidatta di un falegname di Padova, e Giovanni Bellini, che proveniva da una dinastia di artisti veneziani di grande successo e sarebbe stato riconosciuto come uno dei più grandi pittori della città. I due erano imparentati: nel 1453 infatti Mantegna sposa Nicolosia, la sorella di Bellini. Con questa alleanza strategica, la famiglia Bellini (compresi Jacopo, padre di Giovanni, e Gentile, suo fratello) estese il suo potere lavorando con Mantegna piuttosto che essere rivali. La mostra sottolinea come questa unione abbia portato a uno degli scambi artistici più fruttuosi del Rinascimento.

Mantegna e Bellini «cambiarono il loro modo di lavorare in risposta l’uno all’altro», scrive Caroline Campbell, uno dei quattro curatori con Dagmar Korbacher dello Kupferstichkabinett di Berlino, Neville Rowley della Gemäldegalerie di Berlino e Sarah Vowles del British Museum di Londra. Non sono sopravvissuti documenti o lettere a testimonianza di questo scambio tra i due artisti, ma «è chiaro che furono strettamente connessi, dice la Campbell. Bellini realizzò opere che copiano direttamente Mantegna il quale, a sua volta, fu influenzato dalle innovazioni di Bellini».

Anche se Mantegna passò gran parte della sua vita come pittore di corte presso i Gonzaga a Mantova, la mostra testimonia come il dialogo con il cognato, che spese tutta la sua vita a Venezia, non si interruppe mai. I due avevano stili radicalmente diversi. «Il talento di Mantegna è nella sua capacità inventiva, nella padronanza della narrazione e nell’abilità di riportare in vita il mondo dell’antichità classica», sostengono i curatori. Bellini non era da meno in fatto di innovazione; fu un pioniere nell’uso del colore, della luce e dell’atmosfera nei paesaggi nei dintorni di Venezia. Fu «il primo a usare il paesaggio per convogliare un’emozione», scrive la Campbell.

Pur avendo entrambi dipinto pale d’altare e scene religiose, Mantegna raggiunse il massimo apprezzamento per le sue grandiose narrazioni storiche e mitologiche, mentre i quadri di devozione privata di Bellini erano molto richiesti. Quest’ultimo ammirava il talento di Mantegna: trasferiva elementi dai quadri del cognato nelle sue opere e talvolta rielaborava intere composizioni. In mostra, sono accostate «La presentazione di Gesù al Tempio» (1470-75 ca) di Bellini, in prestito dalla Fondazione Querini di Venezia, con la prima versione di Mantegna dello stesso periodo (1454 ca), in prestito dalla Gemäldegalerie, dalla quale è copiata.

Sono esposte anche le versioni di entrambi gli artisti de «L’orazione nell’orto» (quella di Mantegna è del 1455-56 ca, quella di Bellini del 1458-60 ca), dalla collezione della National Gallery, oltre alle due varianti de «La discesa al Limbo» e «La Crocifissione». Dal canto suo, Mantegna fu influenzato dal talento di Bellini come artista di paesaggio. Ne «La morte della Vergine» (1462), in prestito dal Prado di Madrid, ad esempio, la metà superiore della composizione è dedicata a una visione poeticamente serena di Mantova, incorniciata da mare e cielo, un riferimento diretto alle ampie vedute dipinte da suo cognato, secondo quanto sostengono i curatori.

Quale fu il migliore tra i due? «Eccellevano in cose diverse, afferma la Campbell. Mantegna riportò in vita l’antichità classica e realizzò incredibili narrazioni nelle quali la storia sembrava viva; tecnicamente fu un maestro dello scorcio. Bellini fu un maestro del colore, della luce e del paesaggio; nessuno fu abile quanto lui in questo».

La mostra, organizzata in collaborazione con gli Staatlichen Museen di Berlino, il British Museum e il Kupferstichkabinett, dal primo marzo al 30 giugno 2019 si trasferirà alla Gemäldegalerie di Berlino.

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Cristina Ruiz, 02 ottobre 2018 | © Riproduzione riservata

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