Bani Abidi (1971) è una fotografa e artista pachistana residente dal 2011 a Berlino dove è approdata con una delle borse di studio per artisti che il programma Artist in Residence Daad assegna ogni anno a eccellenze delle arti figurative, della letteratura e della musica provenienti da tutto il mondo.
La mostra «Bani Abidi. They Died Laughing» che il Martin Gropius Bau le dedica dal 6 giugno al 22 settembre, è una completa personale che ha come fulcro le sue videoinstallazioni degli ultimi dieci anni. L’artista è internazionalmente conosciuta per la sua inconfondibile estetica cinematografica che si focalizza sulle oscure assurdità del quotidiano, raccontato combinando le esperienze individuali con le complesse questioni e relazioni geopolitiche fra India e Pakistan.
Lo stile delle videoperformance non manca mai di humour, combinando finzione, realtà e poesia. La Abidi vi si fa narratrice-archeologa di storie di città cariche di violenza, contraddizioni, nevrosi e inaspettata bellezza.
Per la mostra di Gropius Bau ha sviluppato il progetto «The Lost Procession», che ha per tema la persecuzione etnica e il progressivo esodo verso la Germania del popolo degli Hazara di Quetta, la capitale della provincia pakistana del Belucistan. Com’è l’incontro di due così differenti realtà antropizzate? Il racconto affronta i temi caldi del contemporaneo: l’espropriazione delle terre, la fuga, l’esilio e la prigionia. La mostra si sposterà a ottobre a Sharja, negli Emirati Arabi.
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