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Ambrogio era ineguagliabile: parola di Ghiberti

Eccezionalmente riunite a Santa Maria della Scala quasi tutte le opere note di Ambrogio Lorenzetti

Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290 ca-1348) è artista notissimo e gli affreschi nel Palazzo Pubblico di Siena con le «Allegorie e gli Effetti del Buono e del Cattivo Governo» sono impressi, per la loro bellezza e densità di significato, nell’immaginario collettivo forse quanto la «Primavera» di Botticelli.
Il resto della produzione di Ambrogio, di notevolissima qualità, giace tuttavia come schiacciata in un cono d’ombra, dal quale la mostra allestita dal 22 ottobre al 21 gennaio nel Complesso museale di Santa Maria della Scala (catalogo Silvana Editoriale), a cura di Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel, intende sottrarla.

Nel percorso espositivo, il cui allestimento è stato concepito da Guicciardini&Magni, troviamo riunite infatti quasi tutte le opere note dell’artista, provenienti da Siena e dal suo territorio e da musei quali il Louvre di Parigi, la National Gallery di Londra, i Musei Vaticani, lo Städel Museum di Francoforte, la Yale University Art Gallery e la Galleria degli Uffizi di Firenze (con pochissime eccezioni), molte delle quali sono state restaurate per l’occasione.

Realizzato grazie al contributo del Mibact per Siena Capitale Italiana della Cultura 2015, il progetto «Dentro il restauro» ha permesso di allestire in Santa Maria della Scala un cantiere aperto al pubblico per «curare», dopo accurate indagini conoscitive (realizzate in collaborazione con numerosi istituti di ricerca tra cui l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze), opere quali il «Polittico della chiesa di San Pietro in Castelvecchio» a Siena, ora più correttamente ricomposto e riunito con l’originaria cimasa raffigurante il Redentore benedicente, e soprattutto il bellissimo ciclo di affreschi, staccati negli anni Sessanta del Novecento, della cappella di San Galgano a Montesiepi, così originale rispetto alla consolidata iconografia sacra da spingere i committenti a pretendere modifiche poco dopo la loro conclusione (cfr. n. 360, gen. ’16, p. 41).

Altri restauri hanno riguardato il ciclo della Chiesa di San Francesco, con gli affreschi dell’antica sala capitolare dei frati francescani senesi e quel che resta del ciclo un tempo più famoso di Ambrogio, già nel chiostro del convento dei minori senesi (nel cui «Martirio dei francescani» si trova la raffigurazione della prima tempesta della pittura occidentale con «grandine folta in su e’ pavesi», come scrisse Ghiberti), e la Chiesa di Sant’Agostino, nel cui capitolo era un ciclo di Storie di santa Caterina e gli articoli del Credo e oggi rimane una magnifica «Maestà e santi».

Negli anni Trenta e Quaranta del XIV secolo Ambrogio è una vera star a Siena e, oltre alle opere per il Palazzo Pubblico, sono in mostra quella per l’Ufficio della Magistratura di gabella e una coperta di uno dei registri semestrali che è un’incredibile riduzione del Buongoverno. Ma anche gioielli quali la tavola con le «Storie di san Nicola» della Galleria degli Uffizi, con la «Maestà» conservata nel piccolo museo di Massa Marittima, o l’altarolo proveniente da Francoforte («Crocifissione, quattro santi, Natività e Annuncio ai pastori»), dove i dettagli sono indagati con sapienza nella luce notturna, svelando il carattere peculiare dell’arte di Ambrogio. Più giovane del fratello Pietro e quindi con diverse inclinazioni, che ne fanno un pittore molto più intellettuale e raffinato, Ambrogio ottiene commissioni anche a Firenze dove soggiorna e si iscrive perfino all’Arte dei Medici e degli Speziali, caso raro per un senese, essendo quella città tradizionalmente ancorata alle sue mura e semmai più propensa a volgersi verso Arezzo o Assisi.

«Tra Pietro e Ambrogio c’è uno stacco notevole, spiega Roberto Bartalini, anche se non possiamo definirlo generazionale perché li separano non più di una decina-quindicina di anni. Pietro, più anziano, segue Duccio, capisce molto presto la pittura di Giotto ed è ancora legato a una certa espressività duecentesca, e a Giovanni Pisano, mentre Ambrogio medita molto su Simone Martini e sulle opere mature di Giotto. Ghiberti scrive che nessuno poteva eguagliare Ambrogio in dottrina e infatti è pittore più mentale, più ricercato, capace di trovare inedite soluzione iconografiche in modo fulmineo e proprio per questo molto richiesto».

L’eccezionalità della figura di Ambrogio fa sì che la mostra presenti solo una rappresentanza di opere di riferimento di maestri quali Duccio, Pietro Lorenzetti e Simone Martini, importanti per intendere la sua formazione negli anni che precedono gli affreschi di Montesiepi (luogo da cui proviene anche la «Madonna» che era sull’altare della cappella affrescata da Ambrogio, opera di Niccolò di Segna). «Pur non avendo un taglio strettamente monografico, non era possibile realizzare una mostra corale, come fu quella dedicata a Duccio nel 2003 a Santa Maria della Scala, proprio perché Ambrogio è un artista che fa molto storia a sé. Il solo rammarico è stato non poter riunire anche solo in parte i quattro dipinti per gli altari dei santi patroni del duomo di Siena: la “Presentazione al tempio” di Ambrogio (il cui prestito è stato negato dagli Uffizi perché l’opera è tra le inamovibili), la “Natività della Vergine” di Pietro, l’“Annunciazione” di Simone Martini e la “Natività di Gesù” di Bartolomeo Bulgarini, artista più giovane e sopravvissuto alla peste nera del 1348».

Laura Lombardi, 18 ottobre 2017 | © Riproduzione riservata

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