Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Luana De Micco
Leggi i suoi articoliChiusa il 3 aprile, dopo una proroga, l’esposizione della collezione russa Morozov, che malgrado la pandemia ha riunito 1,25 milioni di visitatori, la Fondation Louis Vuitton propone da questo mese due nuove mostre. La prima, «Il colore in fuga» (4 maggio-29 agosto), presenta l’opera di cinque artisti di generazioni diverse, Sam Gilliam, Steven Parrino, Niele Toroni, Katharina Grosse e Megan Rooney, impegnati a reinventare il loro rapporto col colore, che fugge oltre i limiti della tela, invade pareti, soffitti e pavimenti e crea un nuovo dialogo con lo spazio.
Nei loro lavori «il colore si libera da tutti i limiti e riafferma il suo ruolo primario, osserva Suzanne Pagé, direttrice artistica della fondazione d’arte di Bernard Arnault. In un momento in cui trionfa, grazie a personalità di talento, una pittura figurativa piuttosto orientata al ritratto, questa mostra, troppo esigua data la vastità del fenomeno, analizza la coesistenza di una potente forma di espressione “astratta” con una serie di opere che forzano i limiti del luogo e del qualificativo, nelle quali il reale si infiltra ovunque».
La tedesca Katharina Grosse (di cui l’Espace Vuitton di Venezia presenta un’installazione anche alla Biennale) e Megan Rooney, sudafricana che lavora a Londra, hanno realizzato per Parigi delle installazioni inedite. La Fondation Vuitton ha poi ottenuto importanti prestiti tra l’altro dal Whitney di New York e dalla Fondation Lambert di Avignone. La seconda mostra, «Simon Hantaï (1922-2008)», è un’ampia retrospettiva dedicata al pittore franco-ungherese nel centenario della nascita.
Dal 18 maggio al 29 agosto sono allestite più di 130 opere, alcune delle quali mai mostrate prima, soprattutto grandi formati. Molti sono i prestiti, tra cui documenti di archivio, concessi dalla Succession Hantaï e dalla moglie dell’artista, Zsuzsa Hantaï. Curata da Anne Baldassari, la mostra si concentra sul periodo 1957-2000, aprendo il percorso su grandi opere come «Écriture rose» (1958-59), che l’artista donò al Musée d’art moderne del Centre Pompidou. Il rapporto di Hantaï con la materia si tradusse nella continua sperimentazione di tecniche diverse, tra cui il famoso «pliage», in cui la tela veniva piegata e cosparsa con il colore. La mostra esplora anche le fonti di ispirazione dell’artista allestendo opere di Matisse e Pollock. Per l’occasione Daniel Buren, che frequentò l’atelier di Hantaï della Cité des fleurs, ha realizzato un’installazione-omaggio dal titolo «MUR(S) POUR SIMON».

Particolare di «Aluminum Clouds (Crush)» (1995) di Steven Parrino