Al Victoria & Albert nascita ed evoluzione della Diva

Da Sarah Bernhardt a Billie Holiday, da Maria Callas all’icona androgina Prince, un percorso storico nello sviluppo del divismo e dello star system, tra feticismo e morbosità

Maria Callas nei panni della Traviata di Verdi alla Royal Opera House di Londra nel 1958. Foto Houston Rogers © Victoria and Albert Museum, Londra
Elena Franzoia |  | Londra

Dal 24 giugno al 7 aprile 2024 il Victoria and Albert Museum di Londra esalta con la mostra «Diva» la carica spettacolare e carismatica degli artisti della musica. «Il V&A, con le sue collezioni di rilevanza mondiale dedicate all’art design e alla performance e la sua missione di ispirare la creatività in tutte le sue forme, è il palcoscenico perfetto per celebrare la poliedricità del concetto di «divismo», che racchiude oggi miriadi di significati, afferma Kate Bailey, che cura la mostra con Veronica Castro. Al centro di questa mostra c’è la storia di artisti iconici che con creatività, coraggio e ambizione hanno sfidato lo status quo usando la loro voce e la loro arte per ridefinire e rilanciare il concetto stesso di divismo».

250 oggetti rappresentativi di oltre 60 differenti outfit di scena, provenienti dalle collezioni del museo e da importanti prestiti internazionali, si distribuiscono nelle due macrosezioni «Act One», che esplora la nascita del concetto di divismo e le pioniere di questo nuovo approccio con il pubblico e la società, e «Act Two», che lo cala invece nella contemporaneità sottolineando l’influenza e l’impegno di tanti artisti di oggi soprattutto nel campo dei diritti civili e dell’ambiente.

Anche grazie a un allestimento pensato come una scenografia teatrale arricchita da esperienze acustiche, la mostra affronta le origini latine del termine diva (dea) per poi esplorarne l’evoluzione, dalle stelle della lirica e del cinema muto alle megastar globali di oggi. In particolare, «Act One» si focalizza sulla rivoluzione rappresentata nell’Ottocento rispetto ai tradizionali ruoli femminili da soprani lirici come Adelina Patti e Jenny Lind o da attrici protofemministe come Ellen Terry e Sarah Bernhardt, pioniere di un percorso poi proseguito nel XX secolo dalle «sirene del muto» Clara Bow e Mary Pickford e da dive della Golden Age di Hollywood come Vivien Leigh, Mae West e Marilyn Monroe. Viene qui sottolineato anche il ruolo fondamentale degli studios e della stampa nella creazione di un «culto» spesso alimentato da morbose curiosità per la vita privata di questi personaggi.

Spiccano in questa sezione l’ensemble indossato da Tamara Karsavina, prima ballerina dei Ballets Russes di Diaghilev, in «La Tragédie de Salomé» (1913), un abito di alta moda di Joséphine Baker testimone della sua rivoluzionaria evoluzione da performer ad attivista e il sexissimo abito nero frangiato indossato da Marilyn Monroe in «A qualcuno piace caldo» (1959). Grande risalto viene poi conferito a Maria Callas e ai suoi inimitabili abiti di scena, tra cui quello leggendario della «Tosca» zeffirelliana (1964). Più trasversale la seconda sezione, che accoglie oltre ai look di artiste in prima linea contro le disuguaglianze come Billie Holiday, Nina Simone ed Ella Fitzgerald anche quelli di divi androgini come Prince ed Elton John, anticipatori dell’oggi attualissimo tema del gender fluid.

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