Al Mudec la rivincita di Van Gogh
In mostra al Mudec tutti gli interessi letterari e culturali del pittore morto suicida, frettolosamente ed erroneamente giudicato incolto e rozzo

Un artista geniale, rivoluzionario ma irrimediabilmente incolto e rozzo. E suicida: un classico esempio di «peintre maudit». Se fu proprio questa immagine di marginalità a innescare la sua fama dopo la vita stentata e la tragica morte, ora, grazie a studi recenti, è venuto per lui il momento del riscatto.
La mostra «Vincent Van Gogh. Pittore colto» (dal 21 settembre al 28 gennaio 2024), curata per il Mudec da Francesco Poli con Mariella Guzzoni (autrice di «I libri di Vincent», Johan&Levi, 2020; qui impegnata a dipanare il filo delle sue molte letture) e Aurora Canepari (del Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova, cui si deve la sezione «Van Gogh e il Giapponismo»), ha uno scopo: ribaltare quella lettura tanto pittoresca quanto frettolosa e presentare invece un artista dai molti interessi culturali, gran lettore e collezionista di stampe, decisamente aggiornato sul dibattito culturale del suo tempo.
Promossa da Milano-Cultura e prodotta da 24 Ore Cultura-Gruppo 24 Ore con Fondazione Deloitte, la rassegna è frutto della collaborazione con il Museo Kröller-Müller di Otterlo, che conserva una collezione ricchissima di sue opere. Di qui giungono una quarantina di disegni e dipinti, dagli anni giovanili, nel 1880-85, da lui vissuti tra Belgio e Paesi Bassi, documentando la misera vita dei contadini, sul modello di Jean-François Millet (maestro cui la mostra dedica un focus), mentre legge Zola, rilegge Dickens, studia la tecnica pittorica, disegna furiosamente e dipinge, con una tavolozza oscura e terrosa.
Sarà Parigi, dal 1886 al 1888, a stordirlo con i suoi colori e con il suo ambiente culturale: dagli impressionisti e i pointilliste (alcuni in mostra) Van Gogh mutua la nuova, vivida tavolozza, e intanto legge i libri di Maupassant e dei Goncourt, manuali e riviste, e si fa sedurre dal dilagante Japonisme, tanto da acquistare oltre 600 stampe giapponesi, di cui sono esposti alcuni esempi.
Ma già dal 1888 Van Gogh scende in Provenza, in cerca della luce del Sud: iniziava ora, tra Arles e Saint-Rémy (nell’ospedale psichiatrico dove si fa ricoverare) la sua stagione più nota. E qui legge tutto Shakespeare (c’è l’edizione che gli manda il fratello Theo) e continua a confrontarsi con le xilografie giapponesi. Tornato a Parigi, si trasferirà a Auvers-sur-Oise, dove si ucciderà nel 1890, proprio mentre la critica inizia a interessarsi a lui: che tutto era, fuorché un pittore incolto.