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Aiutare gli specialisti siriani non significa sostenere Bashar al Assad

Aiutare gli specialisti siriani non significa sostenere Bashar al Assad

Victoria Stapley-Brown, Marie Zawisza

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Gli archeologi non trovano un accordo sull’aiuto da dare alla Siria per la tutela del suo patrimonio culturale, mentre iniziano nuovi negoziati per tentare di porre fine alla guerra in corso. Il disaccordo è emerso chiaramente nel corso di una conferenza tenutasi l’11 e il 12 dicembre a Damasco, a cui hanno partecipato esperti stranieri. Circa 12 specialisti internazionali hanno preso parte all’evento, organizzato dalla Direzione generale siriana delle Antichità e dei Musei (Dgam).

Tra di loro, Stefan Simon, direttore delle iniziative culturali globali per il patrimonio della Yale University. «Occorre distinguere tra il Governo e gli uffici nazionali per le antichità», ha dichiarato. Collaborare con enti come il Dgam è «un elemento chiave per la sostenibilità» nella lotta per la tutela del patrimonio culturale. «Penso che i colleghi che si occupano della tutela del patrimonio culturale negli uffici governativi meritino tutto il sostegno che possiamo dar loro». Altri la pensano diversamente. In una lettera aperta pubblicata a dicembre, Marc Lebeau, dello European Centre for Upper Mesopotamian Studies di Bruxelles, ha denunciato con forza i partecipanti alla conferenza siriana, esprimendo «sgomento e sconcerto» di fronte al fatto che gli specialisti vogliano «mettere il loro prestigio e la loro professionalità a sostegno di questo regime violento». Cheikhmous Ali, direttore dell’Association for the Protection of Syrian Archaeology con sede a Strasburgo, è uno dei sette studiosi che hanno sottoscritto la lettera di Lebeau.

Degli archeologi che hanno partecipato alla conferenza di Damasco afferma che sperano di «beneficiare del favore del Governo e di porsi come interlocutori privilegiati con le istituzioni internazionali quando giungerà il tempo della ricostruzione e del restauro». Maamoun Abdulkarim, direttore generale del Dgam, dichiara che l’organizzazione non ha mai assunto posizioni politiche. «Abbiamo continuato a pagare il salario ai nostri 2.500 impiegati, anche nelle zone occupate dall’opposizione, per continuare ad assicurare la nostra missione di tutela del patrimonio culturale, senza neanche sapere quali fossero le opinioni politiche dei nostri dipendenti», ci ha dichiarato.

Giorgio Buccellati, professore emerito presso la University of California di Los Angeles, ci ha riferito che i colleghi siriani continuano a «esprimere liberamente» le loro opinioni politiche. Ma non sono solo i singoli individui che chiedono di boicottare il Dgam; la Direzione statale è stata infatti emarginata anche da alcune istituzioni internazionali e gruppi che si occupano del patrimonio culturale.

«Il Dgam non è stato invitato per ragioni politiche e lo comprendo: la Francia ha deciso di chiudere tutte le relazioni diplomatiche con la Siria, ha detto Buccellati al telefono da Damasco. Mi spiace comunque che le misure politiche abbiano una ripercussione sui rapporti culturali tra i nostri due Paesi, nonostante il legame forgiato attraverso secoli di storia e sono stupito che un simposio in cui il patrimonio siriano occupa un posto tanto importante possa svolgersi senza il Paese coinvolto e quelli che combattono sul campo per salvarlo».
 

Victoria Stapley-Brown, Marie Zawisza, 06 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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