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Agnetti va preso in parola

Laura Lombardi

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Alla complessa figura di Vincenzo Agnetti (Milano, 1926-81), artista, scrittore e teorico, la cui carriera si concentra tra il 1967 e il 1981, è dedicata una mostra alla galleria Il Ponte. Intitolata «Vincenzo Agnetti. Testimonianza» e aperta dal 27 marzo al 26 giugno, è curata da Bruno Corà. La non facile scelta delle opere, dati i molteplici interessi dell’artista, riesce a riassumere il rigore e la poeticità inquieta della sua ricerca.

Vincenzo Agnetti, «Dimenticato a memoria»Agnetti si mantenne esterno a qualsiasi movimento, concentrandosi sul linguaggio, il tempo, la comunicazione e la critica politica e sociale, sebbene verso la fine degli anni ’70 lasci emergere un’anima più lirica. Dopo gli esordi vicini all’Informale alla fine degli anni ’50 e la collaborazione con il gruppo milanese Azimuth, Agnetti, viaggiatore tra Argentina, New York e Italia, formula il rifiuto di dipingere attraverso il cosiddetto «liquidazionismo» o «arte no».

Nella seconda metà degli anni ’70 le sue indagini si compiono tramite diversi media: feltro, bachelite, fotografia, testi a stampa, registrazioni vocali e performance. Le sue antinomie e i suoi assiomi come «Il sistema usa gli oggetti come veicolo e le idee come combustibile» (1972), «Dati due o più istanti lavoro vi sarà sempre una durata-lavoro contenente gli istanti dati» (1973), possiedono una loro unità paradossale ma rigorosa nell’essere estensioni e contraddizioni all’espressione linguistica.

La mostra documenta anche l’interesse per la fotografia: negli scatti anonimi della serie «Dopo le grandi manovre» l’intervento grafico, la manipolazione combinatoria e l’aggiunta di un vissuto biografico-culturale trasformano quelle immagini in veicoli di memorie personali, che coinvolgono processi mentali e affettivi.

Laura Lombardi, 12 marzo 2015 | © Riproduzione riservata

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