«Un restauro lungo e complesso, costato nove milioni di euro e sette anni di lavoro»: così Vincenzo Tinè, soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Verona, Vicenza e Rovigo sintetizza quanto sta alle spalle della mostra «Palladio, Bassano e il Ponte. Invenzione, storia, mito», di cui è curatore insieme a Guido Beltramini, Barbara Guidi e Fabrizio Magani.
La mostra, ai Musei Civici fino al 10 ottobre, racconta la storia del ponte che Palladio disegnò dopo la piena del 1567 e la complessità dell’ultimo intervento di restauro che segue i dieci avvenuti nel corso del ’900 e i molti nei secoli precedenti.
«Due i temi intorno a cui si svolge la mostra, spiega Tinè. Il primo riguarda le problematiche di restauro di un’opera in legno che per definizione non può conservarsi come un manufatto in pietra, costringendo a confrontarsi con l’idea astratta del mantenimento filologico e imponendo continue varianti nelle scelte in equilibrio tra il mantenimento della forma a scapito di una materia che in questo caso non è più quella originale. Il secondo tema è quello della lettura in senso antropologico del ponte e del valore identitario percepito in esso dalla comunità. Un valore indagato, aggiunge, anche attraverso il confronto con quanto accaduto al ponte Morandi di Genova».
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