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150 capolavori lungo i 68 metri del Braccio Nuovo restaurato

Verrà aperto il 22 dicembre: raccontiamo in anteprima il grande cantiere che ha interessato contenitore e contenuto

Federico Castelli Gattinara

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Il Braccio Nuovo, la galleria dei Musei Vaticani lunga 68 metri inaugurata nel 1822 da Pio VII (al secolo Barnaba Chiaramonti), fu affidato all’architetto Raffaele Stern e ad Antonio Canova, a suggello della restaurazione delle monarchie in Europa, pontificia compresa, e della restituzione al papa delle tantissime opere d’arte finite al Louvre dopo il trattato di Tolentino (1797). In quel quarto di secolo tra le due date il papa, le cui raccolte erano state svuotate, fece incetta di pezzi antichi, provenienti principalmente da raccolte nobiliari in dismissione e da scavi pontifici. Chiusa l’epopea napoleonica, Pio VII volle un nuova galleria dedicata alle acquisizioni più recenti, in cui contenuto e contenitore, pezzi magnifici e un’architettura ispirata ai grandi edifici dell’antichità, si specchiassero l’uno nell’altro.

Dopo otto anni di restauri questa armonia è pienamente ritrovata, nella luce e nei colori innanzi tutto. Sarà visibile dal 22 dicembre, data dell’apertura al pubblico degli spazi restaurati. L’idea parte dal direttore Antonio Paolucci, che con la presentazione di questo cantiere si congeda dai Musei Vaticani che guida dal 2007, a favore di Barbara Jatta. Fu lui per primo a proporre di affrontare un cantiere di restauro scultoreo nel suo insieme, non più con interventi di emergenza sui singoli pezzi. La sofferenza di molte sculture, la necessità di un aggiornamento degli studi (il catalogo della galleria risale al 1903, a cura di Walther Amelung), la collocazione che non creava problemi ai flussi turistici, spinsero per il Braccio Nuovo. Nel 2009 partì la gara per il restauro dell’intero corpus scultoreo, circa 150 pezzi, le sculture maggiori nelle 28 grandi nicchie della galleria, i pezzi nell’esedra centrale, i busti migliori (molti arrivati dalle raccolte Caetani, poi Ruspoli) sulle semicolonne, quelli di qualità più disomogenea sulle mensole in alto, tutti restaurati dalle ditte CBC e Roma Consorzio, in parte con un cantiere aperto allestito nell’esedra dietro il grande Nilo, a cura degli archeologi Giandomenico Spinola, Claudia Valeri e Eleonora Ferrazza (costo circa 700mila euro, finanziato dai Patrons of the Arts). Solo revisionati nei laboratori vaticani i pezzi già restaurati negli anni precedenti, i mosaici pavimentali e alcune delle statue più note: l’Augusto di Prima Porta, il Nilo, il Doriforo, il «Sileno col piccolo Dioniso» e i pavoni in bronzo dorato.

Soltanto nel 2014 si è iniziato a lavorare anche al contenitore per la sua messa in sicurezza, con un cantiere pilota e molte ricerche d’archivio che, come per la statuaria, hanno fornito dati utili ai restauratori (ditte Erre Consorzio e Roma Consorzio). Il problema del Braccio Nuovo, spiega Spinola, è che ci fu «una gran fretta di chiudere il cantiere perché i due protagonisti, Stern e Canova, sentivano la loro fine vicina, quindi puntarono più sull’effetto d’insieme, straordinario, che su un’esposizione sempre di alto livello». Questo, spiega Micol Forti che ha curato il restauro architettonico, causò anche la fragilità della galleria, evidente già dopo la sua inaugurazione, per via della scarsa qualità dei materiali e della rapidità esecutiva. Si è proceduto quindi a «ricucire» al loro fondo i rosoni della volta a cassettoni, sostituire con calchi in resina quelli mancanti, ritrovare la bicromia originaria della volta, risanare le mensoline sotto il cornicione e le mensole parietali dei busti, che si sono rivelate di semplice gesso, pulire tutti i fregi ottocenteschi a stucco di Francesco Massimiliano Laboureur e le pareti in finto marmo, ripristinare l’originario finto granito delle grandi nicchie mortificate da una tinta grigio-verde (costo 1,6 milioni di euro, sostenuto dal Governatorato vaticano).

Per le statue il lavoro più importante è stato fatto sulle patine. «Il bello di lavorare con gli archeologi, spiega Guy Devreux, responsabile del Laboratorio di restauro marmi e calchi (che insieme al Laboratorio di diagnostica ha avuto un ruolo sostanziale), è che abbiamo un punto di vista molto simile, quello della conservazione innanzi tutto e non della pulitura estetica. Abbiamo cercato di dare a ogni traccia conservata un motivo legato alla storia della scultura stessa». Oggi ogni pezzo conserva la sua «pelle», la sua ruvidezza e cromia, un risultato molto accurato e rispettoso ottenuto anche grazie alle nuove tecnologie, come «il laser per rifinire le puliture, persino quelle dei restauratori antichi sulle integrazioni da loro stessi effettuate». 

Le sorprese sono state tantissime, di tutti i tipi. I risultati saranno illustrati in un ponderoso volume scientifico complessivo dei restauri, a cui si aggiungerà un catalogo in due tomi delle sculture e un database. Sulla propria importante esperienza di gestione complessiva di sede e collezioni, i Musei Vaticani hanno intanto dato alle stampe Come si conserva un grande museo. L’esperienza dei Musei Vaticani (Allemandi & C.; cfr. questo numero di «Vernissage», p. 22). 

Dopo l’apertura di dicembre del Braccio Nuovo, nel Cortile della Pigna un cantiere di studio ha effettuato prove di colore, in vista di un restauro che dovrà armonizzare parti costruite a distanza di secoli, da Bramante a Stern.

Federico Castelli Gattinara, 05 dicembre 2016 | © Riproduzione riservata

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