In questa sua seconda personale in Italia, presentata da Monica De Cardenas dal 18 maggio fino al 28 luglio, l’artista israeliano, nipote d’arte (il nonno era il pittore di origine rumena Reuven Rubin, primo ambasciatore di Israele in Romania), Gideon Rubin (Tel Aviv, 1973) espone in prima mondiale un ciclo di 13 piccoli dipinti in cui evoca gli eleganti e raffinati ritratti femminili erotici («squisite immagini [che] hanno continuato a riflettersi nei miei pensieri anche dopo il ritorno nel mio studio a Londra, confessa. I 13 dipinti si concentrano sulle donne protagoniste delle fotografie e su alcuni uomini che ho immaginato») scattati da Carlo Mollino (Torino, 1905-1973).
Di quegli scatti, allora giudicati «osé», realizzati negli anni ’60 con la polaroid dall’architetto, designer, pilota, gran sciatore e grande esteta torinese, Rubin elide i volti delle protagoniste.
Non certo per pruderie, come in questo caso si potrebbe ipotizzare, ma perché questa è la cifra dell’artista, che ritrae in spazi indefiniti e atemporali figure solitarie, soprattutto femminili, di spalle o con i lineamenti cancellati, riuscendo tuttavia a generare un’esperienza di condivisione e d’intimità.
Di «tepore» emotivo, si vorrebbe dire, suggerito anche dai colori delicati di cui si serve per dipingere, con sapienza luministica antica, quelle nuche scoperte e indifese, quelle ciocche di capelli un po’ spettinate, quelle giovani spalle nude che occupano, in primo piano, i suoi dipinti. Figure di cui, pur anonime e inconoscibili come sono, possiamo individuare sentimenti e stati d’animo.
Quattro di queste immagini di una giovane donna di spalle, con una lunga treccia, dipinta su tele di grandezza crescente, accompagnano le 13 opere in cui Rubin ha reso omaggio a Mollino, che danno il titolo a questa rassegna intitolata semplicemente «Rubin - 13».