Per David Bowie la musica è il colore. Per Kandinskij la pittura è una sinfonia. Arte e musica condividono la stessa essenza, entrambe hanno la capacità di far vibrare l’anima. Sono tanti gli artisti e i critici convinti di questo legame profondo, ma poche le mostre che l’hanno esplorato. Un gap cui pone rimedio Palazzo Roverella a Rovigo con «Vedere la musica. L’arte dal Simbolismo alle avanguardie», curata da Paolo Bolpagni e allestita fino al 4 luglio (catalogo Silvana Editoriale, organizzata da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con l’Accademia dei Concordi e il Comune di Rovigo).
Il percorso cronologico parte dalla stagione simbolista e arriva fino agli anni Trenta del Novecento. «Alla fine del XIX secolo si afferma in tutta Europa un filone artistico ispirato alle opere e alle teorie estetiche di Richard Wagner (1813-83)», spiega il curatore. Cariche di implicazioni esoteriche, le opere di questo periodo rendono spesso omaggio al genio del compositore tedesco, come documentano in mostra il ritratto che nel 1893 gli dedica Pierre-Auguste Renoir o l’illustrazione realizzata da Aubrey Beardsley (1872-98) e pubblicata sulla rivista «Pan» nel 1899, raffigurante Isotta, protagonista della celebre opera wagneriana «Tristan und Isolde», capolavoro del Romanticismo tedesco e pilastro della musica moderna.
«A partire dal primo decennio del Novecento, però, la riscoperta di Johann Sebastian Bach e il fascino esercitato dalla purezza dei suoi contrappunti vengono a sostituirsi al modello wagneriano, non solamente in campo musicale», prosegue il curatore. E prima delle avanguardie e dei grandi exploit dell’arte astratta, la mostra ricorda la parabola del Simbolismo e della Secessione viennese, esemplarmente racchiusi nel «Fregio di Beethoven» di Gustav Klimt, 24 metri di pittura murale realizzati nel 1902 per la XIV esposizione degli artisti della Secessione viennese, che al grande compositore tedesco s’ispirava per ridefinire il ruolo dell’arte e dell’artista.
E poi via con le stagioni degli «Ismi». Il Cubismo, con le sue celebri raffigurazioni di chitarre, pianoforti, violini e tanti altri strumenti, ma anche le realizzazioni di scene e costumi per spettacoli musicali. Il Futurismo, che fece della musica materia da plasmare all’interno delle proprie opere come gli «intonarumori» di Luigi Russolo o il breve spettacolo «Le feu d’artifice», di cui in mostra figura un bozzetto, realizzato da Giacomo Balla sulle note di Igor Stravinskij, con regia di Sergej Djagilev.
Infine, Vasilij Kandinskij, che descrive i colori come i tasti di un pianoforte; Paul Klee, che ispira le sue composizioni astratte al concetto di polifonia; Piet Mondrian e Theo van Doesburg, che guardano ai ritmi della danza moderna, e, ancora, Dadismo e Surrealismo, da Francis Picabia, che guarda alle armonie della musca Jazz, a Salvador Dalí, che attraverso il pianoforte spiega l’automatismo del pensiero.